Il comparto nazionale della biotecnologia vanta eccellenze e potenzialità notevoli. Ma mancano provvedimenti per sostenere la ricerca e lo sviluppo come spiega il presidente di Assobiotec
Okairos Ag sta ultimando il primo vaccino al mondo contro l’epatite C e sta lavorando a vaccini contro la malaria e le principali malattie infettive, ma anche contro il cancro; Silicon Biosystems, considerata la “start-up più innovativa d’Italia”, ha sviluppato e brevettato un sistema che permette di scoprire in modo precoce un tumore; AlgaRes, invece, è specializzata nello studio delle alghe per applicazioni innovative a tutela ambientale e del patrimonio archeologico; LEA Nanotech lavora a sistemi per il monitoraggio di tossine o contaminanti negli alimenti e a nuovi sistemi di packaging intelligente.
Sono solo alcune delle 422 aziende che compongono l’industria biotecnologica italiana, un settore che fattura 7 miliardi di euro e stanzia un miliardo e mezzo di euro di investimenti in R&D. Una “costellazione” vitale per l’economia italiana che, però, «dopo diversi anni di crescita a ritmo sostenuto, mostra evidenti segnali di difficoltà, dovute alla cronica assenza di provvedimenti per sostenere la ricerca e lo sviluppo e per tutelare i prodotti innovativi», ha annunciato Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, alla presentazione del rapporto Biotecnologie in Italia 2014. È con lui che approfondiamo la situazione del settore.
Quali sono le peculiarità ravvisabili nel settore italiano delle biotecnologie?
Dinamicità, internazionalità e grandi investimenti in attività di ricerca e sviluppo. Queste in sintesi le caratteristiche delle imprese biotecnologiche italiane. Quando parliamo di biotech, parliamo di una tecnologia pervasiva da cui dipende la nostra capacità di risposta alle più importanti sfide che ci pone il nuovo millennio: aumento della popolazione mondiale e suo invecchiamento, con conseguente incremento della domanda di medicinali e di alimenti, affrancamento dall’impiego di fonti energetiche fossili, risanamento ambientale. Il contributo delle biotecnologie si attesta oggi allo 1,1% del PIL globale ma, con un adeguato contesto normativo – stando a quanto sostiene l’OCSE –potrebbe crescere al 2,7% già nel 2030, quando il 35% delle produzioni chimiche, l’80% di quelle del farmaceutico e il 50% di quelle agricole beneficeranno dell’utilizzo di metodiche di biotecnologia.
Le biotecnologie quali opportunità possono offrire al sistema Paese se opportunamente valorizzate?
Un recente studio dell’Università di Berkeley dimostra come la creazione di un nuovo posto di lavoro nel settore hi-tech generi 5 posti di lavoro nell’indotto, contro gli 1,6 posti di lavoro generati da ogni nuova assunzione nell’industria manifatturiera. Le opportunità per un Paese come il nostro, dove il tasso di disoccupazione registrato dall’ISTAT si aggira intorno al 13%, sono facilmente intuibili. Ma non è solo una questione di economia e di occupazione: dalle biotecnologie mediche, per esempio, dipendono le nostre possibilità di trovare nuovi farmaci e nuove terapie per malattie oggi incurabili.
Quali sono le eccellenze che vanno evidenziate, anche a livello di singoli progetti?
Il biotech italiano vanta numerose eccellenze. I recenti casi di Okairos (acquisita di recente dal colosso farmaceutico GlaxoSmithKline per 250 milioni di euro – n.d.a.), Silicon Biosystem (acquisita da Menarini, primo gruppo farmaceutico italiano in Europa), EOS (passata a Clovis Oncology, biofarmaceutica USA, per circa 450 milioni di dollari), Intercept (il cui 30% di azioni è stato acquistato dalla società di investimento Genextra) e Gentium (acquisita dal gruppo irlandese Jazz Pharmaceuticals Plc per 1 miliardo di dollari) dimostrano chiaramente che per gli investitori finanziari può essere molto redditizio investire in imprese biotech, ma anche confermano l’eccellenza della ricerca biofarmaceutica italiana e dimostrano la straordinaria capacità dei nostri manager e imprenditori di attrarre capitali dall’estero e di trasformarli in ulteriore valore, dopo aver sviluppato prodotti e tecnologie innovative. Ma abbiamo eccellenze anche in altri campi di applicazione del biotech, quali le bioenergie, il risanamento ambientale, le agrobiotecnologie.
Tuttavia il settore registra una contrazione e la mancanza di un piano di investimenti pubblici. Assobiotec ha fatto tre proposte concrete al Governo per favorire la crescita e competitività delle imprese del settore. Che risposta avete avuto?
Certamente oggi il Governo è più consapevole dell’importanza strategica di supportare il settore delle biotecnologie, così come avviene in tutti i Paesi che vogliono avere una forte economia della conoscenza.
Aspettiamo però ancora misure concrete. I tre punti restano per noi prioritari, ovvero introdurre meccanismi di credito di imposta per le spese in R&S certi, selettivi e stabili nel tempo, con aliquote adeguate per la ricerca in house; detassare o ridurre gli utili derivanti dalla cessione di diritti di proprietà intellettuale; riconoscere alle nostre imprese lo status di Impresa Innovativa, favorendo le imprese che maggiormente investono e creano innovazione.