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Alessandro Pizzoccaro: In Italia l’omeopatia deve ancora crescere

di di Francesca Vercesi
30 Settembre 2010

Con un fatturato di 50 milioni di euro e 800 prodotti in catalogo, Guna è l'azienda leader nel mercato nazionale dei rimedi omeopatici. I segreti del suo successo? Aver creduto per primi in questo settore e non aver perso di vista l'aspetto etico. Ma la strada è ancora in salita. Ecco perchè

Alessandro PizzoccaroAlessandro Pizzoccaro, 61 anni, fondatore di Guna, azienda leader nella produzione e distribuzione di farmaci omeopatici, ha creduto nel futuro di questo settore prima degli altri. Era il 1983, l’industria omeopatica ancora agli albori e lui, con la moglie Adriana Carluccio, ricercatrice all’ex Farmitalia Carlo Erba, decise di fare il grande passo. Il successo arrivò in fretta e oggi l’azienda, con una quota di mercato del 25 percento, un fatturato di oltre 50 milioni di euro e una crescita media dell’8 per cento su base annua, controlla (insieme al colosso francese Boiron) più del 50 per cento del mercato nazionale. Il gruppo ha sede in via Palmanova, a Milano, in un nuovo stabilimento inaugurato nel 2008 in occasione del 25esimo anniversario della fondazione dell’azienda. Oggi Guna ha in catalogo oltre 800 prodotti e attraverso l’omonima società editrice realizza anche una rivista, La medicina biologica, distribuita a più di 20mila medici.

 

Avete cominciato a vendere alle farmacie i prodotti della tedesca Heel. Poi, dalla distribuzione, avete aggiunto anche la produzione. Ma fin dall’inizio la vostra strategia commerciale ha dato molta importanza alla formazione…


Abbiamo iniziato 27 anni fa, quando in Italia l’omeopatia non la conosceva nessuno: era un metodo di cura per pochi, diversamente da quanto succedeva già allora in Francia, Inghilterra e Germania. All’inizio eravamo solo dei distributori, nel frattempo però ci siamo indirizzati anche verso la formazione dei medici, organizzando corsi ad hoc. Così, un nucleo di specialisti è diventato il pilastro della nostra formazione. Poi abbiamo capito che c’era la necessità di passare anche alla produzione e nel 1989 abbiamo aperto il nostro laboratorio a Milano, il primo autorizzato in Italia. Oggi organizziamo circa 500 giornate di insegnamento all’anno e copriamo una carenza delle istituzioni anche se buona parte della nostra produzione si vende poi fuori dall’Italia. Il nostro Paese è ancora indietro nel settore omeopatico. Comunque, attraverso Guna editore, ci occupiamo anche di diffondere tra medici e informatori medicoscientifici, ricerche, studi, saggi e documenti.

 

In Italia c’è una norma che non dà la possibilità di registrare nuovi medicinali omeopatici dal 1995


Sì, è incredibile. Abbiamo una filiale negli Stati Uniti in Pennsylvania dove abbiamo registrato, attraverso la Fda (Food and Drug Administration l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) 80 nuovi farmaci Guna, ma questi stessi farmaci non si possono vendere in Italia.  Tra i Paesi di riferimento per noi ci sono Russia, Ucraina, Colombia, Venezuela, dove non esiste il condizionamento forte da parte delle lobby. In tutta Europa, infatti, c’è una grossa pressione per fare in modo che l’omeopatia non si possa sviluppare. L’unica eccezione è l’Inghilterra dove siamo riusciti a registrare un farmaco nuovo. 

 

C’è molta confusione in materia. I farmaci omeopatici hanno la stessa dignità del farmaco tradizionale o no?


Il farmaco omeopatico è riconosciuto dalla direttiva europea recepita in Italia nel 2006. La federazione nazionale dell’ordine dei medici, inoltre, nel 2002, ha definito con chiarezza le discipline mediche: agopuntura, omeopatia, omotossicologia, antroposofia, fitoterapia e ostepatia. La sensazione generale, però, è che tutto ciò non sia ancora riconosciuto, sia perchè all’interno delle Università non ci sono cattedre dedicate a queste materie, sia perchè nel mondo dei media ci sono molti nemici dell’omeopatia che regolarmente sparano a zero sull’argomento. Questo tipo di cura dà fastidio all’industria farmaceutica. É un atteggiamento culturale che andrebbe rivisto.

 

La gente si affida sempre di più all’omeopatia, ma per risolvere piccole patologie, non certo quelle serie. Cosa ne pensa?


Io non sono un  medico, ma negli anni ho maturato una conoscenza molto ampia grazie a tutti i corsi che ho seguito e alle cose che ho visto. A mio avviso, una cosa non esclude l’altra. Ci sono tre modi di curarsi: con i rimedi omeopatici, allopatici e misti. E’ ovvio che per curare una polmonite, sia meglio ricorrere alla medicina tradizionale, ma nel caso di patologie croniche l’omeopatia può dare ottimi risultati. Io penso che sarebbe logico utilizzare l’omeopatia come prima terapia in caso di malattie lievi: è efficace, non ha effetti collaterali e prende in considerazione l’uomo nella sua totalità. Perchè un farmaco abbia successo, comunque, sono  fondamentali l’aspetto psicologico e la fiducia nel proprio medico. Ma questo vale sempre.

Sugar pills, album di distillated/flickr

 

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

 

Abbiamo grandi progetti legati alla ricerca, sia con importanti università italiane (Milano, Bologna e Roma) per verificare l’efficacia dell’omeopatia in settori nei quali la medicina tradizionale ha pochi risultati, sia studi su alcune patologie gravi, come il morbo di Crohn, l’epatite C, la dermatite atopica. La sperimentazione è appena partita e i primi riscontri si avranno solo tra sei mesi.

 

La sua è un’azienda familiare, con il respiro da grande gruppo internazionale. Merito della passione per questo lavoro?


Si, ho sempre creduto molto nelle mie idee e in quello che faccio. Il successo più bello per me è stato vincere il recente premio per le aziende etiche, quelle che hanno un’attività con responsabilità sociale. Siamo stati premiati per il nostro progetto che si chiama No patent, e che si basa sull’impegno a non brevettare nessuna delle nostre ricerche e a togliere il copyright dalle nostre pubblicazioni: l’unica cosa che chiediamo è di citare la fonte. Una scelta che in realtà corrisponde a un’esigenza: ci siamo accorti che le risorse richieste per registrare i farmaci sono tante e riteniamo sia più utile per noi, anche dal punto di vista economico, investirle nello sviluppo di nuovi progetti di ricerca.

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