No alla svendita delle risorse collettive e ruolo attivo dei cittadini nella loro gestione. Queste le indicazioni del giurista e assessore comunale di Napoli alla terza conferenza sulla Decrescita 2012 a Venezia
Tra i relatori di spicco della terza conferenza sulla Decrescita 2012 a Venezia anche Alberto Lucarelli, professore di diritto e assessore al Comune di Napoli che ha incentrato il suo intervento sul concetto di beni comuni.
E, come spiega a Wisesociety.it in questa intervista, sull’esigenza di costruire un nuovo e differente spazio di democrazia, con un diverso ruolo delle istituzioni e della cittadinanza, attraverso la creazione di istituti di democrazia diretta molto più incisivi, per ridurre lo spazio di dominio del proprietario pubblico su beni che sono di appartenenza collettiva
Cos’è la democrazia dei beni comuni?
È l’esigenza di andare oltre la democrazia sociale, politica, gestionale così come configurata nella nostra Costituzione e che presenta una serie di limiti anche nella legislazione vigente e quindi di entrare in una nuova dimensione.
Io credo che la sovranità appartiene al popolo, il principio di solidarietà, il principio di eguaglianza il diritto al lavoro e anche perché no le disposizioni relative all’istruzione e allo stato sociale per essere effettivamente attuate devono entrare in una nuova dimensione democratica, quella appunto dei beni comuni.
Cosa manca dal punto di vista legale per arrivare ad una vera democrazia dei beni comuni?
L’articolo 42 della nostra Costituzione (la proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati) è fortemente arretrato: bisognerebbe indicare che i beni comuni non possono essere sottratti al demanio evitando anche l’infiltrazione di malavita organizzata.
Bisognerebbe dire che i beni comuni non possono essere oggetto di svendita, che sono inespropriabili, inusucabili, fuori dalla logica del profitto e del commercio, contro la concessione che fa diventare i concessionari proprietari lucrando su beni di tutti.
Il risanamento dei bilanci va a intaccare i beni comuni: cosa si può fare per salvare il welfare e tutto il sistema sociale?
Intanto lavorare per costituire questa nuova dimensione. Nell’immediato si possono ipotizzare forme reattive dei referendum contro la svendita del patrimonio, si può immaginare una proposta di legge di iniziativa popolare per modificare l’articolo 81 della Costituzione cambiato per la prima volta nella storia democratica italiana, a porte chiuse, dal Senato nell’aprile scorso.
Con l’introduzione del nuovo articolo 81, che prevede il “pareggio di bilancio”, si impedisce di fatto alle istituzioni pubbliche di intervenire nella gestione dell’economia per orientare l’uso delle risorse rispettando il vincolo dei beni comuni naturali (l’acqua, il territorio, l’energia, l’aria) e per attuare i diritti sociali: la salute, l’educazione, l’istruzione, la previdenza.
Non era mai avvenuta una cosa del genere senza neanche dare ai cittadini la possibilità di esprimersi col referendum confermativo. Si possono presentare altre proposte di legge di iniziativa popolare per modificare l’articolo 42 della Costituzione e impedire che i beni comuni siano oggetto di svendita, esproprio, usucapione, desmanializzazione.
Come si dovrebbero gestire?
Per esempio con un’impresa democratica come abbiamo fatto a Napoli trasformando le Spa in soggetti di diritto pubblico come forma di governance partecipata mettendo nei Cda espressioni della cittadinanza attiva designati dal basso, comitati di sorveglianza e rappresentanti dei lavoratori. Il tutto in una logica lontana da quella del “dominus”.
Come si esce dalla logica proprietaria?
Con la fictio iuris. Chiaro che non possiamo immaginare che tutti i beni rimangano di proprietà pubblica: il problema è la loro gestione e il porre dei limiti al proprietario per evitare quella logica di “dominus” che eviterebbe l’abuso della sua posizione dato che la gestione è controllata, partecipata. Il proprietario di quel bene può solo fare atti volti a soddisfare la volontà dei cittadini.
Oltre al referendum quali strumenti ha a sua disposizione il cittadino?
La disobbedienza e la resistenza sono degli atti che appartengono alla tradizione della teoria dello stato. Un diritto, quello alla resistenza, di cui addirittura si parlò nella costituente a fronte di atti obiettivamente in contrasto con i principi fondativi dello stato.
Più che di disobbedienza io parlerei di obbedienza civile, come sta facendo la Campania in merito alla questione dell’acqua. Obbedire a quanto afferma la Costituzione, obbedire a quanto dice il referendum, obbedire alle sentenze della corte costituzionale.
In tema di acqua è incredibile come l’ultima disposizione contenuta nella spending review abbia violato contestualmente la Costituzione, la volontà referendaria e anche la sentenza 199 del 2012 che aveva riaffermato il vincolo referendario.