Lo chef di Sciacca, già alla corte di Pietro Leemann e Max Alajmo, è fautore della sostenibilità e del rispetto della natura
La sostenibilità ha sempre fatto parte della vita e della cucina di Accursio Craparo. Nato a Sciacca, passato prima nel ristorante di alta cucina vegetariana di Pietro Leemann e poi in quella tristellata di Massimiliano Alajmo, Craparo è tornato in Sicilia e dopo un intermezzo a La Gazza ladra di Modica, dove ha raggiunto la prima stella Michelin, ha aperto sempre a Modica il suo ristorante nel quale, come “denuncia” con orgoglio già attraverso il nome scelto come insegna, Accursio, ogni cosa (non solo i piatti) trasuda del suo pensiero e del suo stile di vita.
Cosa significa per lei avere un approccio sostenibile all’esistenza?
Interagire con persone che hanno il mio stesso approccio e di cui mi fa piacere circondarmi: artigiani, contadini e tutti coloro che lavorano entrando in armonia con la natura che, è fondamentale ricordare, deve essere rispettata perché ci ospita.
Nello specifico, parlando del suo lavoro da chef, cosa intende?
Rispettare le stagioni, e non solo in termini di raccolto o della scelta della frutta e della verdura del periodo. Nei piatti va messo ciò che è disponibile. C’è stato un tempo in cui la carne si mangiava una volta la settimana, tornare a farne un consumo ragionato potrebbe aiutare a un riequilibrio partendo dal rallentamento degli allevamenti. E non bisogna pensare che tutti i problemi riguardino la carne. Negli ultimi anni, per esempio, c’è una grande richiesta di ricci di mare che, però, non si vedono più nelle nostre coste. Lo stesso era successo col tonno che, per questo, io non lavoro più da sei anni. In quanto chef, poi, mi sento educatore dei miei clienti, ed è mio compito parlare con loro (sempreché siano disponibili ad ascoltare) del mio concetto di cucina sostenibile.
Come si concilia questo concetto con una cucina stellata in cui si studia a lungo la messa a punto di ogni singolo piatto?
Oggi esistono molte tecniche di conservazione naturale degli alimenti. Da Accursio oltre a inserire in carta i piatti secondo la stagionalità, ovviamo in altri modi. Per esempio, anche se so che, in generale, trovo la lampuga da agosto a novembre, in carta scrivo trancio di pesce perché così posso sostituire la specie mantenendo inalterato il piatto.
Quanti clienti mostrano disponibilità all’ascolto e sensibilità a questi argomenti?
Il mio primo obiettivo è regalare un’esperienza agli ospiti, quando riesco sono già soddisfatto. Poi, personalmente, quando faccio il giro in sala spiego il perché di alcune scelte e rispondo volentieri a tutte le domande.
Del resto oggi voi chef siete diventati degli opinion leader…
In qualche modo abbiamo una ribalta importante che potremmo utilizzare meglio facendo squadra. In Sicilia, per esempio, in tanti utilizzano le melanzane tutto l’anno e quindi c’è chi continua a produrle anche fuori stagione. Se tornassimo tutti alla stagionalità nessuno le coltiverebbe quando non è il loro tempo.
Il suo menu è tutto locale e stagionale?
Quasi, ci sono alcuni ingredienti che contaminano: alghe, ostriche della Bretagna. Io sono un fautore del “chilometro vero” non del chilometro zero, anche perché da bevitore maniaco di caffè mi sconfesserei subito. E poi non sono dogmatico e ritengo che certi piaceri siano funzionali all’esistenza. Detto questo di tutto quello che acquisto, conosco la filiera e i sistemi di produzione.
Ha un piatto che racchiude al meglio la sua idea di cucina sostenibile?
Pane e cipolla che rappresenta la summa del mio territorio, il ricordo del pasto frugale dei contadini e un omaggio ai miei nonni preparato con cipolla in agrodolce con Fiore Sicano, tartufo nero, rapa rossa e pane speziato. È un piatto che è sempre con me e continua a crescere ogni giorno.