
Uno dei miei posti “preferiti”. Mia madre è nata a pochi metri dall’ingresso a monte della cava, mio nonno materno è morto di asbestosi – come quasi tutti gli altri operai – a causa della lavorazione dell’amianto.
La cava, abbandonata da una decina d’anni, si è via via riempita d’acqua. Il lago che ne ha riempito le viscere è profondo più di 50 metri. L’acqua è pura, e farci il bagno in estate è una – vietatissima – esperienza da fare. Si nuota in un’acqua limpidissima, priva di alghe o altri esseri viventi di sorta (il lago è troppo “giovane” per essere stato colonizzato), circondati da gradoni di pietra leggermente danteschi. Si è soli, e il lago è davvero grande. SI fatica a raggiungerne il centro, poi ci si gira verso le pareti di roccia, e ci si sente davvero piccoli.
Ogni gradone è alto più di 10 metri, e largo circa 5-6 – ci passavano camion in entrambe le direzioni. Dal punto in cui è scattata il lago è lontano 8 gradoni.
La frana che si vede al centro della foto è testimonianza della procedura di estrazione impiegata. Veniva minata la montagna e fatta saltare; poi, con ruspe e camion, passando sui gradoni, si portava via il materiale, che veniva macinato presso gli stabilimenti, situati a valle sulla destra.
Da piccolo, le mie giornate erano intervallate dalle sirene di mina, alle 12 e alle 18, e dalle detonazioni che le seguivano.
La cava mette soggezione come luogo di morte, a chi ne sa la storia, ed esalta in quanto luogo di vita nuova, di piante che strappano metri ai gradoni, anno dopo anno, di un lago che un giorno sarà vivo, di panorami mozzafiato nelle giornate limpide.
Siamo solo di passaggio, noi e i nostri affanni, su questa terra.
Credit: Testo e foto di Paolo Crosetto/flickr