Milano. Città della moda, dell’alta finanza, dello shopping; città europea, desiderio mai sopito di migliaia di migranti, attratti dalle maggiori opportunità di lavoro. Città dei centri commerciali, dei “grattacieli” e degli uffici, del traffico, dei lavori in corso; città dal cielo grigio di smog, dalle prospettive nascoste dal cemento, dalla terra coperta d’asfalto.
La cultura contadina sembrava non trovarvi più posto – dopo aver ceduto il passo alla frenetica e progressiva urbanizzazione degli anni ’60 – e invece, a ridar luce e respiro ai colori del moderno, ecco gli orti urbani: piccole oasi di verde, un colore solo simile a quello della carta moneta; oasi nel deserto dell’omologazione urbana, ritagli di spazio per un tempo di cui l’uomo non è più padrone, una nuova possibile meta.
Qui la comunità si ferma, si incontra, si confronta. Qui, l’uomo si sottrae all’annichilimento imposto dalla società e scopre nuove forme di aggregazione, recuperate e ricostruite nell’antico contatto con la Terra. I nuovi orticoltori sono gli uomini e le donne “della porta accanto” (studenti, ingegneri, professori, impiegati, pensionati), che hanno cercato e trovato una finestra, un punto di vista diverso, una via di fuga da un mondo che, forse, ci rappresenta sempre meno.
Testo di Vincenzo Antonio Scalfari