Tutto ciò che avreste voluto sapere sul funzionamento e sulle prospettive “fondi etici", nicchia emergente del risparmio gestito
L’etica è un concetto particolare. Può declinarsi in una miriade di sfumature diverse quante sono le sensibilità di ognuno e applicarsi ai campi più disparati. Nonostante possa sembrare strano, parlare di etica applicata alla finanza non è così paradossale. In un mondo coinvolto da scandali di ogni tipo e dimensione, dominato dalla logica del profitto ad ogni costo, dove cinismo e opportunismo dovrebbero – almeno secondo l’immaginario collettivo – farla da padrone, si sta facendo largo pian piano un fenomeno in costante crescita: i fondi etici di investimento.
COSA SONO I FONDI ETICI – Un fondo etico è uno strumento finanziario in tutto e per tutto identico al classico fondo comune di investimento, ma presenta una particolarità interessante: per espresso mandato, sceglie di non investire nelle azioni di quelle società o nei titoli di Stato di quei Paesi che non ritiene “etici”. Accanto ai tradizionali parametri economico-finanziari usati per valutare la bontà degli investimenti, compaiono allora i cosiddetti “criteri di eticità e responsabilità sociale”, veri e propri driver di scelta per i gestori del fondo etico. Come spiega l’Osservatorio Finanza Etica, tali criteri sono principalmente di tre tipi: ambientale, ovvero attenti ai problemi di specie viventi ed ecosistemi; sociale, inerenti la difesa di diritti umani, lavoratori, minori, comunità; “governance”, concentrati sulle relazioni con gli azionisti e altri stakeholders, le tematiche di trasparenza, informazione e corruzione. Insomma, stati come l’Iran e la Cina o società come Parmalat o McDonald’s non fanno fatica a finire nella black list di molti fondi etici. Infine, un modo alternativo più semplice che i gestori di tali fondi hanno a disposizione per esercitare la loro “vocazione etica” è quello di devolvere direttamente una parte delle commissioni o dei rendimenti ottenuti a favore di enti non profit ritenuti meritevoli.
UN “PICCOLO” SETTORE IN CRESCITA – Analizzando le dimensioni di questo fenomeno ci accorgiamo che si tratta ancora di una porzione estremamente piccola del mercato dei fondi (in Italia appena 4,5 mld di euro contro i 660 mld complessivi di fondi comuni aperti come dai dati del 3° trimestre 2014 di Assogestioni). Tuttavia, il trend è quello di crescita del settore. Da quando è nato in America il primo fondo etico nel 1928, il Pioneer Fund di Boston, che aveva l’intento di non investire nell’industria di armi, alcool, gioco d’azzardo e tabacco, ne è stata fatta di strada. Nel nostro Paese, dopo l’impulso straordinario dato dal ’68 e dalle sue rivendicazioni sociali, e la comparsa dei primi fondi etici negli anni Novanta, la situazione sembrava essere ad una svolta epocale proprio qualche tempo fa, quando la Finanziaria di Monti aveva risparmiato tale tipologia di strumenti dall’applicazione della tassa sulle transazioni finanziarie, meglio nota come “Tobin Tax”: il rendimento netto maggiore in relazione agli altri fondi comuni aveva fatto pensare che ci sarebbe stata una forte crescita degli stessi in breve tempo. Il contraddittorio decreto attuativo però ha fatto naufragare miseramente la questione, in quella che è sembrata una vera e propria tragedia all’italiana.
CHI LI PROPONE IN ITALIA – Ad oggi in Italia ci sono 25 società di gestione che offrono almeno un fondo etico ai sottoscrittori (retail), e le prime 5 si spartiscono intorno al 70% di tale nicchia di mercato. Anima sgr è prima per distacco (1 miliardo di euro circa), seguita da Candriam e Sarasin Inv. Fonds (entrambe a poco più di 600 milioni), Pioneer Inv. management sgr (454), Raiffeisen Svizzera SC (383) e via via tutte le altre. Parlando della gamma dei prodotti, è interessante notare come la maggior parte delle società proponga un solo fondo etico o al massimo due o tre (si distinguono in questo senso Candriam e Sarasin rispettivamente con 14 e 8 prodotti). Per quanto riguarda la tipologia di strumenti (azioni/obbligazioni) e l’area geografica/settore in cui tali fondi investono, emerge che le categorie più gettonate, in termini di numero di prodotti e capitalizzazione, sono gli azionari internazionali, gli obbligazionari Euro, i bilanciati, gli obbligazionari misti e gli azionari Europa. C’è da dire che non si segnalano società o categorie più performanti delle altre per quanto riguarda i fondi etici, tuttavia la relativa esiguità dei numeri in ballo induce a non affrettare conclusioni.
I RENDIMENTI – Da ultimo, è interessante volgere uno sguardo alle performance di questi strumenti finanziari in relazione al resto dei fondi comuni: ebbene l’andamento dei fondi etici non differisce da quello delle altre tipologie. Anche guardando al giudizio di CFS Rating (agenzia indipendente che assegna ai fondi aperti, per ogni categoria, un numero di stelle che va da 1 a 5, a seconda della bontà del prodotto non solo in termini di performance storica, ma anche di rischio/volatilità passata) relativamente a questi prodotti, si possono fare almeno due considerazioni. Innanzitutto, il rating per i fondi etici si comporta come una distribuzione normale (o gaussiana, per gli addetti ai lavori): ciò indica che tali fondi non sovra o sottoperformano rispetto all’andamento complessivo dei fondi venduti in Italia. Si può dire insomma che questi prodotti sono – in media – esattamente in linea con l’andamento generale dei prodotti venduti in Italia. Ma c’è di più, l’Osservatorio Finanza Etica fa presente che secondo molti analisti il rispetto dei criteri di eticità può essere un indicatore di stato di buona salute dell’impresa nel lungo periodo. E con queste premesse, non è una sorpresa che un investitore su 5 dica sì alla finanza etica e prenda in considerazione la possibilità di investirci, come già evidenziato dal Sole24ore.
Insomma, alla faccia di chi pensa che “pecunia non olet” soprattutto se si parla di finanza, i fondi etici rappresentano oggi una piccola nicchia di mercato in crescita, sempre più apprezzata e che non fa pagare ai sottoscrittori in termini di performance i vincoli di scelta a cui sono sottoposti i gestori. E chissà che con qualche spinta normativa non si possa, magari in pochi anni, dare un impulso, stavolta sì decisivo, a questo settore. Allora sì che a quel punto, l’etica applicata alla finanza potrà sembrare a tutti un accostamento tutt’altro che paradossale!