Wise Society : Le cooperative sociali che creano utili dando lavoro ai detenuti

Le cooperative sociali che creano utili dando lavoro ai detenuti

di Rosa Maria Di Natale
10 Marzo 2015

Le siciliane "L'Arcolaio" e "Sprigioniamo Sapori" che vantano bilanci in attivo, creano occupazione vendendo prodotti della tradizione culinaria locale

Resistono alla crisi e sopravvivono ai tagli dei finanziamenti pubblici. Sono siciliane doc e una volta tanto sono da esempio per l’impresa del Nord: sono le coop “L’Arcolaio” di Siracusa e “Sprigioniamo sapori” di Ragusa, le uniche cooperative sociali siciliane che impiegano anche detenuti e che, per molto tempo, si sono occupate con successo del servizio mense nelle carceri grazie all’aiuto della Cassa delle ammende. Tanto da diventare, nel corso di pochi anni, imprese autonome a tutti gli effetti con dipendenti e collaboratori.

I loro prodotti sono sugli scaffali di botteghe biologiche o raffinati negozi di specialità regionali. L’Arcolaio produce con il marchio “Dolci evasioni” nato nel 2005, le paste di mandorla con la celebre “pizzuta” di Avola, i panetti per la mandorlata, i biscottini aromatizzati con agrumi veri. “Sprigioniamo sapori”, invece, è divenuto un marchio nel 2013 ed è figlio del consorzio “La Città solidale”, produce torroni artigianali al miele degli iblei e pistacchi. Delizie di nicchia, vendute molto anche fuori dalla Sicilia.

E ora che il fondo non potrà più sostenere i servizi di mensa in gestione a cooperative di detenuti (delle mense carcerarie italiane, già da gennaio, è tornata ad occuparsi l’amministrazione penitenziaria), le due coop continuano senza sofferenza il loro lavoro.

I numeri delle loro imprese parlano chiaro. Per “Dolci evasioni” lavorano sei detenuti e sette civili, per un fatturato di oltre 500 mila euro. La ricetta? Essere coerenti sino in fondo con la mission sociale e credere a quell’ “economia del dono” che ancora molti fanno fatica a comprendere.

Giovanni Romano, presidente de “L’Arcolaio”, fa riferimento a tre passaggi indispensabili: «In primo luogo, cercare di trovare nel proprio lavoro delle “coerenze di valori”. Per esempio abbiamo scelto di lavorare con Banca Etica, i nostri imballaggi e il packaging sono fabbricati da un’altra coop sociale siciliana – racconta a wisesociety.it – le materie prime arrivano dal biologico della nostra terra o dal commercio equo e solidale, come ad esempio lo zucchero. E questo ci ripaga. Abbiamo anche scelto di ridurre a zero l’impatto ambientale chiedendo di poter usufruire dei forni a pellet e del fotovoltaico: risparmieremo molto e saremo, appunto, coerenti con tutto il resto».

Romano aggiunge che la costruzione di reti reali ha i suoi vantaggi: «È il secondo motivo del nostro successo. Col tempo abbiamo avviato una rete di relazioni attorno a noi, sviluppando una specie di asse di economia di relazione e del dono. Così partecipiamo a molte manifestazioni e i nostri prodotti ricevono simpatia e consenso. Ecco, questi non sono rapporti a fondo perduto, il brand circola a livello nazionale e molto bene». E il terzo punto? «Curare il rapporto con il territorio, anche se per il 90% vendiamo fuori dalla Sicilia. Ma è importante che il carcere venga vissuto come facente parte del territorio. Offriamo la nostra cucina, il nostro cous cous e gli arancini, e poi lavoriamo con Libera, l’associazione contro le mafie. I detenuti cucinano e servono i piatti. Si sentono e sono nuovamente accettati. E lavorano meglio».

“Sprigioniamo sapori” di Ragusa ha invece attivato un progetto di polo alimentare con due detenuti in bassa stagione, e che in alta stagione diventano cinque, più due pasticceri e due cuochi esterni. Con un progetto di giardinaggio, inoltre, formeranno 8 detenuti per 8 mesi, per poi avviare subito dopo una nuova coop. Fatturato: 80 mila euro per il catering, ed altre 80 mila per attività collaterali.

«La nostra economia punta sulla redistribuzione del reddito e del lavoro. La caratteristica delle coop sociali è quella di ridurre al minimo, se non quasi a zero, il profitto personale dell’imprenditore. Nella coop non esistono imprenditori ma soci lavoratori che si distribuiscono il reddito», commenta Aurelio Guccione, presidente del Consorzio ragusano. Che aggiunge:

«È il modello della cooperazione sociale in sé che produce buoni risultati. Non è un caso se non abbiamo licenziato quando molte aziende hanno fatto ricorso ad ammortizzatori. Si lavora, si producono beni e servizi traendone un ricavo, un benessere per soci lavoratori». E anche Guccione crede alla rete. «Vuole un esempio concreto? Nel 2014 abbiamo fornito noi i pasti alla Caritas e dunque due mondi dello svantaggio, carcerati e senzatetto, producevano benessere comune. Le imprese del profit dovrebbero comprendere questo. E so che molte si stanno attrezzando”.

 

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