Pasta, carne, bevande, ma anche cosmetici e farmaci per nuovi consumatori molto attenti: gli immigrati musulmani che possono utilizzare solo prodotti che "leciti" e garantiti. Un nuovo business per le aziende del nostro Paese, che può avere anche un positivo effetto sull'inserimento degli stranieri nella nostra società
Garanzia di prodotti sani e controllati, correttezza dei processi di lavorazione e degli ingredienti utilizzati, trasparenza della filiera. Quello che ormai è giustamente considerato un diritto da parte di molti italiani, sta diventando una necessità anche per un altro tipo di consumatori in forte crescita: gli immigrati, che arrivano da Paesi con religioni diverse dalla nostra, i cui precetti dottrinali, hanno un peso fondamentale nella vita quotidiana, tanto da rendere indispensabile una certificazione che distingua con un marchio ciò che è consentito (halal) da quello che è proibito (haram). E se fin’ora questo ha riguardato soprattutto i prodotti kosher (dedicati ai seguaci di fede ebraica) d’ora in poi sentiremo sempre più parlare di halal, cioè prodotti “leciti” per i musulmani secondo le regole della sharia. «Il principio generale della nostra religione è quello di proteggersi dal male, dal danno, quindi evitare cibi o bevande che possono essere prodotti in modo non idoneo per la nostra salute e integrità», spiega Sharif Lorenzini, presidente della Halal Italy (www.halalitaly.org) che ha organizzato un convegno a Bari il mese scorso per presentare le attività della sezione italiana dell’Halal International Autorithy, l’autorità internazionale di Certificazione islamica (indipendente e no profit), attiva anche nel nostro Paese. «L’attenzione della certificazione si concentra sui cibi e sugli alimenti a base di proteine o grassi di origine animale come tutta la carne, (esclusa quella di maiale totalmente proibita) che va macellata secondo un preciso rituale, ma anche le bevande che non devono contenere alcool e la pasta perchè potrebbe essere fatta con un grano contaminato o nocivo» continua Lorenzini.
Oltre all’agro-alimentare, un settore in forte sviluppo è quello dei cosmetici e dei farmaci, la cui correttezza dei processi di lavorazione e degli ingredienti utilizzati è cruciale per il fedele musulmano, ma è prevista una grande crescita anche di prodotti legati a settori più vasti come il turismo (alberghi, ristoranti, pizzerie) e i servizi già diffusi in tutta Europa. Il primo fast food halal ha aperto i battenti con grande successo lo scorso anno a Parigi, in Olanda, al porto di Rotterdam è da poco entrata in funzione una banchina speciale che rispetta i dettami islamici dello stoccaggio delle merci, mentre la Camera di Commercio di Bruxelles ha certificato dall’inizio di quest’anno le camere d’albergo halal dotate di comfort anche per ospiti musulmani: niente alcool nel minibar, un Corano e un tappeto per la preghiera orientato verso la Mecca.
Non solo. Pochi mesi fa una società inglese ha lanciato il progetto del primo parco industriale in Europa destinato esclusivamente a questi clienti: il Super Halal Industrial Park previsto nel giro di qualche anno in Galles. E anche l’Italia sta preparando un circuito di strutture turistiche “halalfriendly” tra cui alcune masserie pugliesi come la Quisutdeus, spa & resort, a Crispiano (Taranto). Insomma un enorme bacino di consumatori stimato in circa 2 miliardi nel mondo, 25 milioni in Europa e 2 milioni in Italia con un potenziale giro d’affari di 5 miliardi di euro solo nel nostro Paese che comincia a far gola a molte aziende italiane, soprattutto in tempo di crisi. Ecco perchè già un anno fa il nostro governo aveva sottoscritto una convenzione interministeriale (Ministero degli Esteri, Politiche Agricole, Salute, Sviluppo Economico), a favore della certificazione halal sui prodotti italiani, sia da vendere sul nostro territorio sia soprattutto da esportare nei mercati di religione islamica. Con l’intento di far ripartire anche il nostro “made in Italy”.
L’identikit del consumatore
«Oggi chi compra halal è un immigrato ben inserito in Occidente per il quale essere musulmano è una caratteristica identitaria, un modo per uscire dagli stereotipi dell’arabo legato a classi popolari e pericolose», aggiunge Claudia Castorani, rappresentate dell’Halal consumer Italia. Partendo dal presupposto che ogni cittadino di fede islamica deve poter acquistare un vero prodotto “lecito” e non soltanto una denominazione, il consumatore ha cominciato a pretendere che il prodotto fosse certificato. In realtà cibi e cosmetici halal erano già arrivati in Italia negli anni ‘80 ma confinati nei punti vendita etnici, che si trovavano solo in quartieri a forte immigrazione musulmana. Oggi non è più così, conclude Castorani, e sono proprio le catene della grande distribuzione le più interessate a questo nuovo mercato».
A Roma, per esempio, all’Ipercoop Casilino (via Casilina 1011) è aperto da quasi un anno uno speciale reparto Halal con vendita di carne macellata secondo i precetti islamici e un banco di salumi, sempre molto affollato. Ma quali garanzie ci sono per il cliente? «Il prodotto deve essere identificato con il logo dell’ente certificatore», spiega Lorenzini, ma è anche sempre possibile consultare le nostre banche dati che contengono moltissime informazioni su tutti i prodotti che Halal Italy certifica, dove i consumatori possono ottenere ulteriori approfondimenti. Anzi, i nostri prodotti certificati, proprio perchè garantiscono standard elevatissimi di sicurezza e trasparenza, potrebbero interessare anche un consumatore non necessariamente musulmano: un esempio per tutti è quello dei cosmetici che non vengono testati sugli animali e contengono solo componenti naturali», aggiunge il presidente dell’organizzazione.
Come avviene la certificazione
L’iter per le aziende è semplice, chiaro e non particolarmente costoso: chi è interessato riceve innanzitutto il disciplinare tecnico di Certificazione halal dal Comitato Etico della Comunità Religiosa Islamica nel quale sono espresse tutte le linee guida per la certificazione. In particolare si sottolinea la necessità che i prodotti e i processi produttivi siano conformi alle normative italiane ed europee in tema di igiene e sicurezza alimentare. Segue una verifica ispettiva in azienda effettuata da un team composto da un ispettore musulmano e un ispettore dei processi produttivi per verificare la linea produttiva, i macchinari, l’igiene, la formazione del personale e le schede tecniche degli ingredienti. Particolare attenzione è posta alla conformità degli ingredienti a base di carne, che devono essere macellati secondo il rito islamico. In seguito all’ispezione e alle indicazioni scritte dell’ispettore, l’azienda è in grado di mettersi in regola apportando le necessarie modifiche nella produzione. Dal confronto diretto tra azienda e rappresentanza islamica ha inizio una seria collaborazione per ottenere un prodotto di qualità, tipico della tradizione italiana, ma certificato halal, tra cui oggi spiccano gli Affumicati e Marinati della Gastone Bernardini in provincia di Pistoia o la birra zerozero alcool della Drive Beer, italianissima (nonostante il nome) ditta di Potenza.
Al di là del business, dare maggior spazio e attenzione ai consumatori di altri Paesi, soprattutto musulmani visti ancora con sospetto o paura, può essere un buon modo per favorire la comprensione e l’integrazione: soprattutto attraverso un gesto comune e quotidiano come il fare la spesa. «Far trovare un prodotto certificato kosher o halal a un cittadino immigrato che lo cerca trasmette un messaggio molto forte: vuol dire che qualcuno ci ha pensato e lo ha reso disponibile, che la società ha preso in considerazione quella persona e l’ha accolta, riconoscendole rispetto e attenzione», conclude Lorenzini, «in altre parole, significa una cosa molto importante per qualunque straniero: farlo sentire “a casa”».