Wise Society : Foodu, l’e-commerce partecipativo del cibo sano e buono

Foodu, l’e-commerce partecipativo del cibo sano e buono

di Mariella Caruso
16 Dicembre 2021

Chi non vorrebbe entrare in un negozio e trovare esattamente il cibo che desidera acquistare? Da oggi si può nel primo e-commerce partecipativo dove è la community a proporre cosa mettere in vendita e a certificare la qualità dei prodotti. Si chiama Foodu, è una startup nata in Puglia, a Palo del Colle, «allo scopo di ridurre le distanze tra chi produce e chi consuma, innescare un processo virtuoso che mira a far mangiare meglio le persone facendo in modo che possano acquistare cibi sani, buoni, artigianali e sostenibili», spiega Antonella Fasano, cofounder di Foodu che è l’evoluzione di Wikonsumer.org, sito che ha creato dopo essere diventata mamma.

antonella fasano di foodu

Foto Foodu

Come nasce il progetto «Foodu»?

«Sono una consumatrice e una mamma attenta, i prodotti del supermercato non mi soddisfacevano e non trovavo quelli giusti per la mia famiglia. La startup nasce da questa esigenza, allo scopo di consentire a tutti quelli che vogliono acquistare con più consapevolezza».

Come funziona?

«Facendo partecipare il consumatore alla scelta dell’assortimento dell’e-commerce e alla valutazione degli stessi prodotti in modo da soddisfare il suo bisogno di informazione. Inoltre il consumatore può lasciare informazioni preziose sui prodotti che acquista. Così si progetta il supermercato del futuro, creato dal consumatore per il consumatore».

In che modo il consumatore può partecipare?

Antonella Fasano, ceo di foodu

Antonella Fasano – Foto Foodu

«Intanto proponendo i prodotti di cui, per prima cosa, i nostri 50 esperti indipendenti che sono tecnici, nutrizionisti, tecnologi alimentari, medici e chimici, valutano la qualità seguendo la metodologia peer review, la stessa adottata per le pubblicazioni scientifiche. La loro è una opinione tecnica basata su parametri precisi da noi richiesti come ad esempio le quantità di sale o zucchero che devono inserire nei format che poi il nostro software analizza. Se i prodotti passano la revisione, entrano in gioco gli “approver”».

Qual è il loro ruolo?

«Di effettuare test comparativi. Gli “approver” sono clienti speciali a cui diamo la possibilità di acquistare in anticipo i prodotti a prezzi speciali e di dare la loro opinione. Alla fine il nostro algoritmo, che si basa sull’intelligenza artificiale, analizza tutte le informazioni e se il prodotto supera le verifiche viene messo in vendita al giusto prezzo».

Come si stabilisce il giusto prezzo?

«Ci sono delle metodologie in cui facciamo specifiche domande sul prezzo del prodotto. Ma parlando con i nostri clienti, nonché primi investitori della campagna di crowdfunding che abbiamo lanciato, abbiamo compreso che in fatto di alimentazione, oltre al giusto prezzo il consumatore vuole trasparenza, prodotti salutari e certezze. A fare la differenza possono essere le donne, il cambiamento è nelle loro mani».

Vi è capitato che un prodotto non abbia superato la review degli esperti?

«Capita continuamente. Chi ha proposto il prodotto è felice quando gli scriviamo per comunicare il motivo per il quale non è considerato sostenibile. Può succedere anche che il fornitore non sia interessato alla piattaforma o che non ci conceda le informazioni sul prodotto in questione. In generale l’80% dei produttori accetta».

Quali sono gli obiettivi del crowdfunding, che capitale vorreste raggiungere?

«Il nostro obiettivo è raggiungere 300.00 euro di capitale. Attualmente siamo in dieci soci tra cui due founder, una nutrizionista, due imprenditori finanziari, ci di cui uno americano e degli esperti di startup come la S.I.T. (Social Innovation Teams), associazione fondata dal professor Paolo Landoni del Politecnico di Torino che supporta delle startup».

Quali progetti realizzerete con i capitali raccolti?

«Vogliamo arrivare a un catalogo di 500 prodotti in modo da aumentare anche il numero di clienti e approver. Nei nostri piani c’è la creazione di un’area business attraverso cui tutti i produttori possano lanciare una campagna di testing di prodotto in una sorta di filiera partecipativa».

Secondo lei questo è il modello del negozio del futuro?

«Sì, il processo di offerta del negozio tradizionale è antiquato rispetto al consumatore odierno che vuole modernizzarsi».

Come mai avete scelto la strada della startup?

«Perché ci permette di impattare meglio sulla massa e crescere velocemente. Siamo stati accelerati da Invitalia, selezionati tra le tre migliori startup food tech. A un certo punto faremo una valutazione per una possibile exit sul mercato fisico».

Parlare già di exit, però, non significa ammettere che oltre all’idealismo della community c’è una strategia imprenditoriale precisa?

«Foodu non è una no profit. Io sono un’imprenditrice che crea valore economico e sociale».

Mariella Caruso

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