Wise Society : E chi lo ha detto che i fondi etici non sono redditizi?

E chi lo ha detto che i fondi etici non sono redditizi?

di A cura di CFS Rating
16 Giugno 2015

Uno studio di CFS Rating rivela che in tre anni oltre 4 fondi su 5 generano a favore dell’investitore un rendimento superiore alla media della categoria di appartenenza

Image by © Tetra Images/CorbisEra già stato introdotto in un nostro recente approfondimento, ma nel 2015 il fondo etico torna a essere protagonista sul palcoscenico del mondo del risparmio gestito. Uno strumento che, seguendo la definizione data da Borsa Italiana, società che gestisce il mercato finanziario nazionale, si differenzia dai fondi comuni d’investimento ordinari dal punto di vista finanziario, della regolamentazione e della distribuzione. Quelli etici, infatti, investono il patrimonio gestito solo in titoli che devono rispondere a una determinata serie di requisiti e poi devolvono a favore di enti non profit una parte delle commissioni o dei rendimenti ottenuti.

Uno strumento di risparmio sostenibile in costante crescita da almeno 20 anni a cui gli investitori finora hanno destinato più di dieci miliardi di euro, ripartiti su circa 80 fondi. Trenta le società che li promuovono – cinque delle quali offrono fondi di diritto italiano – che, indipendentemente dalla loro dimensione, decidono di scommettere su questo segmento in evoluzione.

Come riconoscerli: La maggior parte di questi strumenti è accompagnata dalla sigla ISR che significa Investimento Socialmente Responsabile. Con questo acronimo si identificano società che non fanno della ricerca dell’utile l’unico obiettivo aziendale e che per ottenere il riconoscimento di eticità devono soddisfare requisiti quali ad esempio la tutela dell’ambiente, il miglioramento della qualità della vita, la sicurezza dei prodotti nonché la salute e la sicurezza dei lavoratori e contemporaneamente astenersi dal compiere attività legate alla produzione o commercializzazione di armi, tabacco, alcolici, organismi geneticamente modificati e prodotti lesivi della dignità dell’uomo e della sua salute.

Al lettore più esperto di finanza sorgerà forse spontanea una domanda: quando scelgo di

Grafico a cura di CFS Rating (www.cfsrating.it)

investire su un titolo etico automaticamente mi precludo società che mi possano garantire un maggior ritorno? È infatti opinione diffusa che siano i più furbi – e spesso meno etici – quelli che non solo portano a casa la parte del leone ma riescono anche a farla franca. Dal crescente interesse dimostrato dall’opinione pubblica nei confronti del tema etico si può concludere che, nell’epoca del “villaggio globale” definita da Marshall McLuhan, gli angoli bui in cui nascondere le malefatte sono sempre di meno. Allo stesso modo gli atteggiamenti virtuosi atti a difendere gli interessi della collettività e del pianeta sono percepiti positivamente dall’opinione pubblica.

I mercati sembrano condividere la visione di McLuhan. Infatti, su un orizzonte temporale di tre anni (dati aggiornati al 29-05-2015) più dell’80% dei fondi etici analizzati genera a favore dell’investitore un rendimento superiore alla media della categoria di appartenenza. A fronte della maggior difficoltà da parte del gestore di individuare e analizzare un più ristretto numero di titoli, lo spirito etico è rintracciabile anche nei costi (spese correnti al 31/12/2014) che statisticamente sono in linea con le fees richieste dai fondi comuni ordinari.

Quali sono: Le categorie in cui ad oggi troviamo la maggior parte dei fondi etici sono gli azionari internazionali, gli azionari Europa, gli obbligazionari Euro e Bilanciati. Il 2015 ha tutte le carte in regola per far segnare il record del numero di questi prodotti. Basti pensare che già nei primi quattro mesi dell’anno sono stati lanciati ben cinque fondi: oltre alle italiane Sella Gestioni e UBI Pramerica, anche un player importante come BNP Paribas – tramite Parvest, SICAV del gruppo – ha istituito tre nuovi fondi etici presentati a Milano nei giorni scorsi. Parliamo di Parvest Aqua, il quale su un universo di 300 imprese conformi ai dieci principi del Global Compact delle Nazioni Unite ne andrà a selezionare 50, le cui attività sono legate al trattamento e alla conservazione di quel bene sempre più prezioso che è l’oro blu. L’idea sottostante è di sfruttare l’aumento atteso nella domanda di acqua del 10/12% nei prossimi venti anni. Parvest SmaRT Food (Sustainably Manufactured and Responsibly Transformer Food) cerca invece di cavalcare l’onda del fenomeno Expo 2015 investendo in società del settore alimentare impegnate nella riduzione dell’inquinamento e degli sprechi alimentari ad esclusione di quelle che non rispettano i requisiti sopra citati. Conclude il pacchetto Parvest Human Development concentrato su quelle aziende in cui almeno il 20% del fatturato derivi da settori legati alla soddisfazione dei bisogni fondamentali dell’umanità quali assistenza, salute, istruzione economicamente accessibile e alimenti a prezzi ragionevoli. In aggiunta si pone l’obiettivo di contribuire a risolvere le Image by © Ikon Images/Corbissfide sociali nel mondo moderno come lo sviluppo di farmaci a favore della longevità della popolazione. Per chiarire il profilo di aziende in cui investe il fondo citiamo la società Eli Lilly, impegnata nella produzione di farmaci per la cura del diabete, o la farmaceutica Novo Nordisk.

La strada è tracciata: la sensazione (e l’augurio) è che il mercato possa apprezzare maggiormente l’impegno etico e che il patrimonio gestito da questi prodotti di investimento possa crescere ancora.

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