Wise Society : Coworker per un giorno

Coworker per un giorno

di Maddalena Montecucco
9 Aprile 2010

Affittare una scrivania per otto ore. E condividere l'ufficio con pubblicitari, webdesigner, architetti. Una giornalista freelance, che ha provato il coworking, racconta la sua esperienza

Cowork

Foto di Copernico/Unsplash

«Sì, sono una freelance». «E allora, perche non vieni a lavorare qui?». Qui è Milano, zona Lambrate, nuovo quartiere del design. Oltre il portone in ferro, in fondo al cortile, si trova l’ufficio di Monkeybusiness, advertising in the jungle, la mia “nuova” sede di lavoro. Per un giorno.

L’ agenzia è un candido open space su due piani. I titolari della società lavorano al primo piano Il piano terra è riservato invece ai coworker, gente che va e che viene, lavoratori nomadi. Ognuno ha il proprio laptop e il cellulare accanto, oltre a fogli sparsi e email che appaiono sullo schermo. Quasi tutti lavorano online  così mi vengono date le chiavi d’accesso per la rete interna. Mi siedo a una scrivania, accendo la luce, apro il mio computer ed eccomi, anch’io coworker. Accanto a me, oltre una vetrata, lavora un team di fotografi. Hanno deciso di trasferirsi nella sala riunioni, finché non sarà pronta la sede della loro nuova agenzia. 

Diventare coworker è facile: basta lasciare un documento d’identità e firmare un contratto. Se sei in prova, il primo giorno è gratis. Alla fine della giornata puoi scegliere se andartene o tornare il giorno dopo. Come hanno fatto Andrea e Michele, due giovani coworker, in prova anche loro. Sono amici e hanno deciso di cominciare insieme, ma fanno lavori differenti. Il primo ha 25 anni, si è laureato da poco in comunicazione e gestisce un sito internet. Ovviamente è freelance e di norma lavora da casa: «Ma non ce la faccio più”, racconta «ho bisogno di un mio ufficio, di un ambiente di lavoro. Questa mi sembra una soluzione ideale: il posto è bello, i prezzi sono abbordabili». Ma non è ancora del tutto convinto: «Mi sono trovato bene, ma preferisco fare ancora una prova la prossima settimana; penso che sceglierò il pacchetto di 3 giorni, il meno impegnativo. Poi farò una scelta più definitiva». Michele invece è sicurissimo, ha 31 anni e gestisce da solo una piccola agenzia di comunicazione e pubblicità. «Il coworking è la soluzione che stavo cercando. Sceglierò il pacchetto mensile, mi sono trovato benissimo. Lavoro in casa, ma ho diversi collaboratori. Il mio grande problema è che non so dove incontrarli. Non posso fare una riunione di lavoro in cucina». È stato Michele a consigliare l’amico: «Sono stato chiamato a fare una riunione in un altro spazio coworking, sempre a Milano. Così ho pensato di provare anch’io e l’ho proposto ad Andrea. Alla fine abbiamo scelto questa sede perché è più vicino a casa e perché l’ambiente è professionale e allo stesso tempo raccolto». Giovani, liberi professionisti e senza i soldi indispensabili per permettersi un ufficio: Andrea e Michele sono i tipici coworker. «Non faccio fatica a credere che gli italiani siano all’avanguardia. Qui la vita costa cara e il lavoro te lo devi un po’ inventare, siamo un popolo molto flessibile. E questo nuovo modo di lavorare ci aiuta».

Finita la giornata, raccolgo idee, ripercorro mentalmente le parole scambiate con i ragazzi. E mentre mi avvio a riprendere il treno che mi porta verso casa, mi dico che forse rispetto alla mia stanza, lavorare tra le persone di questa comunità creativa potrebbe essre davvero una buona idea.

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