Un report dell’Organizzazione delle Nazioni Unite smonta i miti della crescita economica e indica forme di sviluppo alternativo capaci di porre al centro i diritti umani e l'uguaglianza
Il sistema della crescita economica può portare a un modello sostenibile in grado di ridurre la povertà e assicurare diritti? Una domanda frequente per chi si occupa di diritti sociali. Ma, questa volta, a porsela è stato il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che l’1 maggio 2024 pubblica il report “Eradicating poverty beyond growth”, firmato da Olivier De Schutter, relatore speciale sulla povertà estrema e i diritti umani.
Povertà e crescita economica: i punti principali del report
Se per molti aspetti la considerazione sembra ovvia, sorprende che un’istituzione internazionale di questo livello affermi con sicurezza che l’attuale modello di sviluppo continui ad aumentare i livelli di disuguaglianza sociale. Non è vero, infatti, che se tutta l’economia cresce ci sarà anche un effetto positivo anche per chi sta in basso nella catena della ricchezza globale. La cosiddetta teoria del trickle down, secondo la quale qualcosa di buono “gocciola verso il basso” per migliorare la condizione di chi è in condizione di povertà, non funziona. Anzi, la ricchezza resta concentrata nelle mani di poche persone privilegiate, il famoso 1% della popolazione. Vediamo i punti principali del report.
Quali fattori determinano la crescita economica?
La posizione di partenza è che molti governi ignorano i limiti ambientali e la limitatezza delle risorse terrestri e continuano a promuovere la crescita economica come obiettivo centrale. Il report contesta quindi l’idea che la crescita economica, misurata attraverso il PIL cioè il Prodotto Interno Lordo, sia essenziale per ridurre la povertà o migliorare i diritti umani. Addirittura il PIL viene definito “un mito pericoloso” perché la crescita basata sull’accumulo di ricchezza non è sufficiente per affrontare i bisogni umani, poiché spesso si traduce in forme di produzione estrattiva che aggravano l’esclusione sociale. I livelli necessari sono stati superati per garantire il benessere nei paesi ricchi, spesso esacerbando la povertà e aumentando le disuguaglianze.
La povertà “modernizzata”
C’è un concetto interessante secondo il quale la crescita economica sia riuscita a modernizzare la povertà, senza diminuirla ma anzi aumentando l’esclusione sociale. In pratica, anche se la privazione materiale estrema si è ridotta in generale, si crea una nuova forma di esclusione, dove le persone restano povere in senso materiale, ma sono anche escluse socialmente perché non possono permettersi beni o servizi considerati “necessari” in una società più benestante con ampie aspettative sociali basate sul benessere materiale e sulla produttività.
Crescita economica e distruzione degli ecosistemi
La crescita economica ha portato al superamento dei limiti planetari. Viene evidenziato che sei dei nove confini planetari che definiscono la stabilità della Terra sono già stati violati. Oltre alle emissioni di gas serra e agli eventi meteorologici estremi ci sono alcuni dati che erano stati evidenziati anche dal UNEP, Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente:
- l’estrazione di risorse è triplicata dal 1970 e si prevede che aumenterà del 60% entro il 2060;
- l’IPBES, Piattaforma Intergovernativa di Scienza-Politica sulla Biodiversità, ha stimato che il 75% della superficie terrestre è stata significativamente alterata dall’attività umana;
- il 66% dell’area oceanica subisce crescenti impatti;
- oltre l’85% delle zone umide è andato perso;
- circa 1 milione di specie sono a rischio di estinzione a causa dell’intensificazione dello sfruttamento ambientale.
In sintesi: l’espansione delle attività produttive è andata finora a scapito della conservazione o del ripristino degli ecosistemi. Non si salva neanche la “crescita verde” dettata dalle nuove energie alternative ai fossili incapace, secondo il report, di evitare un forte impatto ambientale. Il ritmo del cambiamento è troppo lento per rimanere entro il bilancio di carbonio previsto dagli accordi climatici globali.
Si può avere sviluppo senza crescita?
Come abbiamo visto, il concetto di crescita economica si concentra sull’espansione dell’attività economica e sul profitto, ma non garantisce il miglioramento delle condizioni di vita delle persone o la riduzione della povertà, e spesso porta al degrado ambientale.
Lo sviluppo, invece, è un concetto più ampio e qualitativo che tiene conto di un miglioramento del benessere delle persone, della realizzazione di diritti umani, uguaglianza sociale e sostenibilità ambientale. Lo sviluppo non implica necessariamente un aumento del PIL, ma si riferisce piuttosto alla capacità di soddisfare i bisogni essenziali delle persone e di ridurre le disuguaglianze, promuovendo una vita dignitosa per tutti. Secondo il report, quindi, per raggiungere questi obiettivi di benessere economico, si dovrebbe andare “oltre la crescita” e concentrarsi su un tipo di sviluppo che metta al centro i diritti umani e la protezione dell’ambiente.
Crescita economica e disuguaglianza sociale
Al centro di tutta questa riflessione c’è, ovviamente, il rapporto impari tra Nord e Sud del mondo. La crescita dei paesi sviluppati, infatti, è spesso alimentata dallo sfruttamento delle risorse nei paesi in via di sviluppo che crea un ciclo di povertà nel Sud del mondo. Per superare questo modello di dipendenza, il rapporto sostiene che i paesi ricchi dovrebbero ridurre i loro schemi di consumo insostenibili e aiutare i paesi poveri a svilupparsi in modo sostenibile, attraverso trasferimenti tecnologici, riduzione del debito e supporto ai mercati locali. In tal modo, la riduzione delle disuguaglianze globali diventerebbe parte di una strategia complessiva di giustizia climatica e sociale.
Dallo sviluppo economico alla post crescita
Prima di questo report, sono diversi gli studi di sistemi e soluzioni alternative basate sui limiti della crescita economica e del PIL come indicatore di benessere umano. Innanzitutto, la stessa ONU utilizza già da tempo l’Indice di Sviluppo Umano (Hdi – Human development index) al posto del PIL. Lo sviluppo umano, infatti, misura la possibilità degli individui di vivere in salute e a lungo, avere accesso a un’istruzione e a un reddito che garantisca una vita dignitosa. Inoltre, alcuni esempi di sistemi economici alternativi sono: la decrescita felice, l’economia della ciambella o la post-crescita. Il report si concentra proprio sulla necessità di una transizione verso un modello di sviluppo post-crescita che sia in grado di rallentare i modelli di consumo insostenibili, tipici delle fasce più ricche della popolazione, per:
- istituire un salario minimo
- promuovere un’economia dei diritti umani sociale e solidale
- finanziare misure a sostegno del lavoro domestico e di cura non retribuito
- ridurre l’eccessivo consumo di beni superflui in favore di beni socialmente utili e sostenibili
- fornire servizi universali di base: accesso all’acqua, all’energia, alla salute e all’istruzione
- creare un sistema di tassazione redistributiva con tasse progressive sulle eredità, sul patrimonio e sul carbonio.
Si delinea quindi una transizione verso una società idealmente equa che per essere avviata richiederebbe strategie a lungo termine, una coordinazione internazionale profonda su diversi livelli e un vero e proprio cambiamento di rotta. Ma l’umanità, i governi e in particolare quell’1% della popolazione che detiene la gran parte della ricchezza, sarà in grado di farlo?
Patrizia Riso