Professionisti indipendenti che condividono spazi, scrivanie, connessione, Ecco la mappa dei nuovi uffici. Dove la relazione, più che il profitto, ha un ruolo centrale. Come racconta Massimo Carraro, fondatore di Cowo, il network del coworking
Tutta colpa della crisi. O forse no. Massimo Carraro di mestiere fa il pubblicitario (la sua agenzia milanese esiste da 10 anni), ma dalle difficoltà economiche del suo settore ha saputo trarre un vantaggio. Per tutti. Un open space ampio e tante, troppe scrivanie in più. Così il suo studio di via Ventura 3 a Milano, nella ex zona industriale di Lambrate, ora riconvertita in loft, uffici e gallerie d’arte e design, è diventato il primo centro di coworking in Italia. Da lì è nata poi l’idea di Cowo, un vero e proprio network nazionale per “lavoratori nomadi”. Ora solo a Milano esistono 12 postazioni di coworking e Cowo, da sola, conta 30 sedi in tutta Italia.
Come si può definire il coworking?
Sfrutto la stessa definizione di Wikipedia: “Il coworking è un nuovo modo di lavorare. È il ritrovo sociale di professionisti indipendenti che, pur lavorando da soli, condividono valori e interesse per le sinergie sviluppabili nello stesso ambiente”. Il coworking è una piattaforma collaborativa, che al primo posto non mette il profitto, ma la relazione. E’ una nuova filosofia, opposta a quella dei business center, dove invece vige il culto della privacy.
Come funziona e quanto costa?
È semplice: si offre e si guadagna il minimo indispensabile. La mia agenzia, ad esempio, mette a disposizione sei scrivanie, dotate di luce e sedia, wi-fi, presa per l’alimentazione del computer, stampante e una cassettiera con serratura. Poi, c’è la condivisione degli spazi, dei servizi, del riscaldamento, del caffè. Per chi vuole, pagando qualcosa in più, mettiamo a disposizione la sala riunioni. I costi sono irrisori, soprattutto se confrontati con i prezzi degli affitti di locali in città come Milano o Roma: per chi inizia, il primo giorno è gratis. Per una sola giornata di lavoro (9-18, dal lunedì al venerdì) il costo è di 25 euro. Questa è l’offerta minima. Quella massima, per quelli che noi definiamo i “residenti”, prevede la possibilità di avere un ufficio indipendente (24 ore su 24, con accesso illimitato e chiavi personali) per 500 euro al mese. Abbiamo anche una serie di pacchetti, da tre a 40 giorni, con costi che variano dai 50 ai 400 euro.
Come nasce l’idea del coworking e quando è stato realizzato per la prima volta in Italia?
L’idea viene dagli USA. Nel 2005 alcuni programmatori californiani si erano stufati di incontrarsi negli Starbucks, dove c’era una connessione wi fi libera, ma nulla da mangiare (neanche un cappuccino o un muffin) e tutti gli inconvenienti legati al lavoro in un locale pubblico. Meglio quindi mettersi insieme e affittare uno spazio comune, dove condividere anche le spese. Da allora la cosa si è evoluta e il coworking è diventato non solo una condivisione di spazi, ma soprattutto una community, che trova la sua centralità nel web. In Italia il primo centro di coworking è stato a Roma, nel 2007, il posto si chiamava 7th Floor, ma ora se ne sono perse le tracce. Il nostro centro di Milano, è nato il 1 aprile 2008. Per colpa della crisi, si erano liberati diversi spazi nel nostro ufficio e quindi pensavamo di affittarli, ma non ce la sentivamo di impegnarci troppo e di vincolarci con contratti pluriennali, così il coworking ci è sembrata una buona soluzione.
Quanto si guadagna concedendo degli spazi per il coworking?
Non molto. Il coworking non mette al centro il business. I prezzi sono bassi, altrimenti cesserebbe lo scopo. Di conseguenza, il guadagno è minimo, se si tiene conto che ci sono tutte le spese da pagare. Insomma, non ti ci paghi certo il mutuo, ma qualcosa si mette da parte. Quello che conta, come ho già detto, è la filosofia: il coworking vive di entusiasmo e della passione della gente che lo fa.
Quindi anche Cowo è nato per passione?
Sì, abbiamo pensato che fosse meglio organizzarci in una rete. Cowo non rappresenta l’intera offerta di coworking in Italia (ed è meglio così), ma è l’unica struttura organizzata e certificata. È stata istituita un anno fa e le cose stanno andando molto bene . Abbiamo aperto 30 centri di coworking in 15 città italiane e non solo nelle città importanti. Recentemente ne è stato aperto uno anche a Borgomanero, in provincia di Novara. Chi si aggrega al nostro network può usufruire dei vantaggi del lavoro di squadra come, per esempio, l’assistenza legale, l’uso del marchio, la stesura di contratti e manuali, una pagina web, materiale promozionale. Ma conviene anche ai coworkers: Cowo è garanzia di qualità (guardiamo molto al design e favoriamo il coworking all’interno di aziende), prezzi fissi (chiediamo che non vengano mai superati i 400 euro) e connessioni wi fi veloci. Chi si vuole affiliare deve compilare un modulo, rispondere a una ventina di domande e inviarci le foto, in modo che noi possiamo verificare che i locali siano adeguati ai nostri standard. Quindi può partire tutto l’iter di convenzione.
Chi è il coworker tipo?
È giovane, ha circa 30 anni, uomo e libero professionista. Ma, a differenza degli americani, gli europei, e più in particolare gli italiani, lavora nei settori più disparati. I coworker Usa appartengono quasi tutti al ramo informatico, qui, invece, c’è di tutto: ingegneri, giornalisti, pr, fotografi, avvocati.
In che modo il coworking guarda al futuro?
Il nostro futuro è online. Il web è già una componente importante della nostra community. La gente ci conosce tramite la rete e il passaparola. Esiste perfino un social network dedicato ai coworkers (http://nomadwork.ning.com/). Nel coworking esistono tre livelli di relazione: la prima è fisica (tra persone che lavorano nello stesso spazio); la seconda è fisica tra le varie sedi (come avviene all’interno di Cowo); la terza è virtuale (attraverso la community online). Noi diamo uno strumento importante per i giovani e questo ci fa molto piacere, ma credo che in futuro la condivisione degli spazi sarà sempre meno centrale. Quello che conta saranno le relazioni online, poter condividere un lavoro o un progetto. Magari con un coworker dall’altra parte del mondo.