Wise Society : La sostenibilità nelle imprese: il valore della RSI secondo l’Europa

La sostenibilità nelle imprese: il valore della RSI secondo l’Europa

di Francesca Tozzi
5 Luglio 2011

La responsabilità sociale d'impresa è diventata per le aziende un pilastro del vantaggio competitivo e per i consumatori un importante valore di riferimento. Ecco quali leggi comunitarie la regolano

I sempre più numerosi casi di famose multinazionali i cui marchi sono stati boicottati dai consumatori dimostrano quanto ormai sia diventato urgente il tema della responsabilità sociale delle imprese, anche in relazione a una prospettiva di sostenibilità. Una responsabilità intesa come pilastro del vantaggio competitivo e non solo come conseguenza degli orientamenti dei dirigenti o, peggio ancora, mera operazione di green and social washing.

Il Libro Verde, primo documento a livello europeo

La Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate Social Responsibility, CSR) è definita dal Libro Verde della Commissione Europea come: “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie aziende di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale, ambientale ed etico al loro interno e sul territorio, interagendo con i vari portatori d’interesse ( i cosiddetti, stakeholder) a partire da quelli interni come fornitori, soci e clienti per arrivare a mass media, organizzazioni no profit e associazioni di consumatori, che tendono sempre più a fare opinione organizzandosi in social network. Oggi non esiste un solo sistema di leggi che codificano e regolano la Responsabilità Sociale d’Impresa anche se diversi disegni di legge sono stati proposti sulla scia delle linee guida contenute nel Libro Verde della Commissione Europea. Il riferimento legislativo principale resta comunque il ddl n.386 presentato nel 2009 che si definisce le disposizioni per la promozione e lo sviluppo della RSI, e delega al Governo l’adozione di norme per incentivare le imprese socialmente responsabili.

Ambiente, lavoro e territorio

L’aspetto della sostenibilità ambientale è legato alla filiera, il che significa riduzione del consumo delle risorse nell’approvvigionamento delle materie prime, ma anche di quelle energetiche e delle emissioni inquinanti in fase produttiva più una gestione intelligente della fase di smaltimento dei rifiuti privilegiando il riciclo dei materiali e delle acque reflue. Poi c’è l’aspetto importante delle risorse umane: oltre alla salute e sicurezza sul posto di lavoro, che devono essere sempre garantite, le aziende responsabili pensano al benessere dei dipendenti nell’organizzazione dei turni, nell’offerta di programmi di formazione continua e di servizi volti a favorire la conciliazione fra lavoro e vita familiare per esempio le nursery in azienda. Infine c’è la responsabilità territoriale ovvero il ruolo di un’azienda nel contesto della comunità con cui può interagire attraverso attività di formazione e informazione professionale e culturale, ma anche sostenendo le associazioni no profit attive nella tutela dell’ambiente e sponsorizzando manifestazioni sportive o culturali locali.

Oltre il profitto

Il modello concettuale della CSR si è rapidamente affermato nella disciplina economica dando vita, negli ultimi anni, a numerosi filoni di studi come i sistemi di rating etico e i modelli di governance proposti dalle autorità pubbliche. Il tutto affonda le sue radici nel “metodo della scomposizione dei parametri”, una modalità di calcolo dei risultati non direttamente economici dell’attività d’impresa.

L’azienda, pur mirando al profitto, deve saper misurare una serie di istanze interne ed esterne, ponendosi obiettivi non direttamente economici ma in grado di apportare valore. A proporlo, negli anni Sessanta, fu per primo l’economista italiano Giancarlo Pallavicini nel testo del 1968 “Strutture integrate nel sistema distributivo italiano”.

In realtà il padre dell’attuale CSR è niente meno che il filosofo Immanuel Kant, per cui l’essenza della morale risiede nella legge universale “Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua come nella altrui persona, sempre come fine e mai come semplice mezzo”. Ispirandosi a lui, Edward Freeman e William Evan propongono nel 1988 una nuova forma di capitalismo manageriale basata sul concetto di fiduciary relationship, ossia di rapporto fiduciario tra il manager e gli stakeholder, rapporto fondato, a sua volta, su due principi: le aziende e i loro manager non possono violare il diritto legittimo degli stakeholder a determinare il proprio futuro; le aziende e i loro manager sono responsabili degli effetti delle loro azioni sugli stakeholder. Tale teoria è il fondamento del pensiero della responsabilità sociale d’impresa poiché la spinge a rapportarsi in modo leale verso tutti coloro che, a vario titolo, hanno a che fare con essa, includendo i dipendenti, i clienti, i fornitori e l’intera comunità. Per un’impresa essere eticamente responsabile significa non solo raggiungere l’obiettivo primario, ossia il profitto, ma più di ogni altra cosa realizzarlo nel rispetto di determinate regole: preservare la propria reputazione; essere capace di ispirare fiducia agli stakeholder e cooperare con loro; realizzare la propria mission in modo trasparente, chiaro e comprensibile; valorizzare le proprie risorse umane; essere leali nella concorrenza; rispettare le norme nazionali e internazionali; evitar qualsiasi discriminazione nei confronti di tutti gli stakeholder. In quest’ottica, etica e profitto vanno di pari passo, poiché se un’azienda non è chiara nel mostrare i propri obiettivi e progetti, sicuramente non ispirerà fiducia e questo andrà a danneggiare la propria reputazione e di conseguenza il proprio profitto.

 

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