Sempre di più gli under 40 diplomati e laureati che tornano alla realtà contadina e aprono aziende agricole
La profonda crisi socioeconomica che stiamo attraversando ci sta portando a riscoprire – così come lo ha recentemente definito il Censis – il cosiddetto “scheletro contadino”, che comporta un ritorno alla realtà contadina appunto, non solo intesa come ritorno alla terra ma anche a quel mondo valoriale che le è proprio, legato alla cultura della sobrietà e dell’essenziale. Cosa esiste, d’altronde, di più essenziale se non la terra su cui camminiamo e dalla quale dipende la nostra vita, la possibilità di nutrirci e quindi sopravvivere? Un atteggiamento – sottolinea il Censis – che è anche una sorta di meccanismo inconscio a cui ci si aggrappa per “sopravvivere” alla crisi e all’informazione della catastrofe che da qualche anno ci bombarda quotidianamente. Non solo. L’agricoltura risponde anche a un desiderio profondo dell’uomo del terzo millennio, consapevole di come il modello economico-finanziario finora in auge abbia mostrato tutte le sue falle, di cui ciascuno di noi sta pagando le conseguenze: ripartire da una dimensione più umana, slow, rispetto a quella super veloce, governata dalla finanza a scapito dell’economia reale, degli ultimi decenni. Lontano, se possibile, dai ritmi metropolitani per intraprendere uno stile di vita diverso, più sano e a contatto con la natura.
Sarà per questi motivi e per le sempre minori possibilità occupazionali offerte da altri settori che l’agricoltura si sta rivelando uno dei pochissimi ambiti produttivi in cui l’occupazione è in costante crescita. I dati 2012 della Coldiretti parlano chiaro: +3,6% delle assunzioni in agricoltura, con un under 40 ogni quattro nuovi assunti.
Uno dei dati che più sorprende di questo trend è proprio il generale ringiovanimento dell’agricoltura. Sempre più giovani decidono di dedicarsi alla terra imparando gli antichi saperi contadini e arricchendoli delle competenze acquisite durante un percorso di studi sicuramente più lungo rispetto a quello dei contadini della passata generazione. Secondo il dossier Cia-Censis sull’agricoltura italiana, tra gli imprenditori agricoli 25-40enni, il 45,3% è diplomato e l’11,2% ha una laurea. Contemporaneamente assistiamo a un costante incremento delle immatricolazioni a facoltà quali scienze agrarie, forestali ed alimentari: fra il 2008 e il 2013, +45% contro un calo medio nelle iscrizioni al resto delle facoltà italiane pari al 12,5% (fonte: Datagiovani su rielaborazione Coldiretti). Siamo in presenza, dunque, di autentici contadini 2.0, o 3.0, come qualcuno li ha già definiti, potenzialmente in grado di aprire nuovi scenari per un’agricoltura sempre più innovativa e sostenibile, sia dal punto di vista economico che ambientale, attraverso, per esempio, la razionalizzazione delle risorse. Si pensi ad esempio alla riduzione dell’uso dell’acqua attraverso sistemi di irrigazione intelligenti capaci di distribuire alle colture né più né meno dell’ottimale quantitativo di acqua necessario, evitando in questo modo ogni spreco possibile. O ancora alle già operative app per smartphone che consentono, tramite sensori inseriti nel terreno, di raccogliere ed elaborare dati su piattaforma digitale utili a tenere costantemente sotto controllo l’andamento del raccolto.
Il succitato dossier Cia-Censis fotografa anche una forte dinamicità imprenditoriale giovanile: mentre la quota di imprese agricole registrate alle camere di commercio prima del 1989 si è assottigliata (-12,1% tra il 2009 e il 2012) e quelle create tra il 1990 e il 2000 si sono ridotte del 17,1%, le aziende più giovani, nate dopo il 2000, sono cresciute invece del 15%, giungendo a rappresentare quasi il 40% del totale delle imprese agricole italiane.
Dati diffusi recentemente da Agrofarma registrano inoltre come il 30% delle aziende agricole condotte da giovani under 30 sia guidato da donne, ulteriore conferma di quanto innovativo sia il comparto agricolo, fino a qualche anno fa quasi completamente appannaggio degli uomini.
Tutto ciò rappresenta una possibilità di sviluppo da non sottovalutare per l’Italia, visto che il nostro Paese vanta uno dei più ricchi patrimoni agroalimentari del pianeta e ospiterà nel 2015, a Milano, l’Expo, cha ha come tema cardine “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Con tutta una serie di nuove opportunità lavorative che questo comporta per figure professionali fino a qualche tempo fa del tutto sconosciute, in grado di tecnologizzare e innovare l’agricoltura.
Per esempio, sempre più le aziende agricole “intelligenti”, le cosiddette “smart farm”, richiederanno profili specializzati in tecnologia e razionalizzazione delle risorse, quindi agronomi, ingegneri, esperti in agroenergie e informatici. D’altronde in sempre più aziende agricole pannelli solari e mini impianti eolici garantiranno l’autosufficienza energetica, come pure l’utilizzo di materiale di scarto (le potature di vigne ed alberi da frutto, per esempio), mentre per alimentare i mezzi meccanici si utilizzeranno sempre più i biocarburanti e, per preservare le colture, sempre meno concimi e fitofarmaci. Non solo. In un’accezione sempre più multifunzionale dell’agricoltura, l’imprenditore agricolo dovrà essere sempre più in grado di ricoprire contemporaneamente una molteplicità di ruoli, specchio di un’agricoltura che non si limita alla semplice produzione di materie prime, ma che a questa affianca anche una serie di servizi a beneficio dell’intera società, che vanno dalla tutela del paesaggio alla valorizzazione di aspetti ricreativi e culturali legati al territorio.