Una startup italiana ha creato una tecnologia per dissalare l’acqua e far crescere piante su terreni inaccessibili, grazie alla natura e all’Internet of Things
Abbiamo tutto da imparare dalla natura. Anche per quanto riguarda nuove soluzioni tecnologiche: d’altronde come non prendere spunto dal più importante organismo di ricerca e sviluppo, che svolge la sua attività da quasi 4 miliardi di anni? Parte da qui la biomimetica, studio dei processi e soluzioni naturali per creare soluzioni artificiali. Un esempio di applicazione? Pensiamo al velcro: la chiusura a strappo è nata dall’osservazione e imitazione della bardana, pianta che ha la caratteristica di attaccarsi ai vestiti grazie a minuscoli uncini. Ma ci sono progetti di vario tipo e per i più disparati ambiti, dalla realizzazione di oggetti fino alla progettazione urbana. Uno dei più recenti e promettenti è Mangrove Still, una soluzione per rigenerare suoli ostili, basandosi sulle caratteristiche della mangrovia, pianta che grazie a questa sua caratteristica è riuscita a ricoprire 150mila chilometri quadrati nel mondo, creando ecosistemi unici. Occasione della presentazione è stata Milano Green Forum.
Mangrove still, un desalatore che nasce dalla biomimesi
Mangrove Still è un distillatore solare passivo, a basso costo, modulare, in grado di produrre acqua dolce da acqua di mare o acqua salata altamente concentrata, da utilizzare per rigenerare terreni o per creare acqua potabile.
È una tecnologia basata sui due principi fisici elementari dell’evaporazione e della condensazione. L’idea di Mangrove Still techonology platform è della startup bresciana Planet, fondata da Alessandro Villa e Alessandro Bianciardi. «Alla base della soluzione per dissalare l’acqua del mare c’è lo studio delle mangrovie, piante in grado di abitare terreni ad alta concentrazione salina, riuscendo ad attuare un processo di dissalazione dell’acqua, essudando acqua dolce e avviando una ricolonizzazione naturale», illustra Villa, spiegando che Mangrove Still riprende questa caratteristica per «utilizzare acqua che così trattata viene impiegata per irrigare incubatori organici, complessi di tessuti di fibre vegetali e di micorriza (combinazione del micelio di un fungo con la radice di una pianta), che vanno a sostenere la crescita delle radici di specie vegetali finché diventano sufficientemente lunghe per trovare poi acqua in totale indipendenza.
Dalla natura all’internet of things
L’idea si basa sì su una pianta, ma per la sua gestione ottimale adotta l’innovazione tecnologica. «Monitoriamo l’interazione tra la dissalazione e l’incubazione organica con un sistema di sensori IoT che permette di controllare il processo e i parametri in gioco – spiega il co-fondatore di Planet – Mettiamo così in atto un insegnamento della Natura, che realizza cose utilizzando innanzitutto informazioni, all’opposto del procedimento umano che si basa prima di tutto sul consumo di risorse ed energia».
Mangrove still: dal laboratorio all’Expo di Dubai
Mangrove ha un’obiettivo ambizioso: rendere vivibili e fertili ambiti finora inaccessibili, potendo dar luogo a cambiamenti virtuosi capaci di invertire la rotta e cercare di ridurre gli effetti del climate change: «per sperare di non superare la soglia dei fatidici 1,5 – 2 °C occorre piantare milioni di alberi. Ma per farlo non possiamo andare a impegnare ulteriori risorse in termini di terre fertili e risorse idriche. Da qui la necessità di utilizzare zone ostili e acqua salata, debitamente convertita in dolce. È la fonte idrica più abbondante sul nostro pianeta».
Il Ceo di Planet racconta che il progetto è sostenuto dal Governo di Dubai grazie a un programma che intende attuare in vista dell’Expo 2020. L’impianto è stato realizzato a Cipro dopo aver creato a Milano un prototipo di nuova generazione che confluirà l’anno prossimo nel primo impianto in scala reale a Tinos, in Grecia, come parte di un progetto europeo parte di Horizon 2020 in tema di economia circolare.