Presentato dagli Stati Generali della Green Economy il documento per l'agricoltura di qualità che rispetta l'ambiente
C’è agroalimentare e agroalimentare. C’è quello delle coltivazioni intensive, del suolo impoverito, della sottrazione di terra alle colture per l’alimentazione a favore di quelle utili all’“alimentazione” dei digestori per la produzione di bioenergie, del basso costo e delle frodi alimentari cresciute del 48,6% tra il 2010 e il 2012 per un controvalore di 4 miliardi di euro solo in Italia. Poi c’è l’agroalimentare di qualità, quella impegnata della riduzione delle emissioni di gas serra, nelle coltivazioni biologiche, nel recupero delle tipicità e delle buone pratiche, nello sviluppo della sostenibilità e delle filiere corte.
Questo secondo tipo di agroalimentare è al centro del “Manifesto” elaborato dagli Stati Generali della Green Economy, un altro dei documenti che hanno visto la luce in occasione di Expo 2015 con lo specifico obiettivo di lasciare una tangibile eredità sul tema “Nutrire il pianeta: energia per la vita”, al quale l’Esposizione internazionale pare talvolta abdicare.
Elaborato con un ampio processo partecipativo e approvato al Consiglio Nazionale della Green Economy che raggruppa 65 organizzazione di imprese, il “Manifesto della green economy per l’agroalimentare”, tradotto in inglese e francese, punta a diffondere a livello internazionale, alcuni indirizzi di comportamento che provengono dal modello virtuoso dell’agricoltura italiana che continua a essere fondamentale per l’economia di casa nostra con i 260 miliardi di euro di valore aggiunto annuo, gli oltre 3,3 milioni di occupati e un’incidenza sul Pil dell’8,7%.
«Vogliamo contribuire a diffondere il punto di vista della “green economy” nel dibattito scaturente dall’Expo2015 – spiegato il presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Edo Ronchi – e condividere alcune proposte che mettono al centro l’agroalimentare come mezzo di nutrizione». Tra le proposte che prendono le mosse da questa centralità dell’agricoltura ne consegue che la priorità deve rimanere la produzione di cibo che può essere integrata (sono 21.500 le aziende agricole possiedono impianti per la produzione di energia rinnovabile) ma non sostituita con altri tipi di attività collaterali. Per questo occorre adottare misure per aumentare la resilienza delle colture che devono fare i conti con i cambiamenti climatici, sostenere le pratiche sostenibili, rafforzare i controlli e la sicurezza alimentare, combattere lo spreco e, non ultimo, arginare il continuo consumo di suolo agricolo che, in Italia, arriva a 55 ettari al giorno.
A fronte di questo consumo indiscriminato, però, ci sono dei dati dell’agroalimentare italiano che lasciano ben sperare a partire dalla riduzione di gas serra di 10 Mton di CO2Eq dal 1990 al 2013 e del consumo di fitofarmaci passati, nello stesso periodo, da 11,2 a a 9,2 Kg/Ha. Questo in un panorama che vede una superficie di 1,3 milioni di ettari occupati da coltivazioni biologiche che fanno dell’Italia il secondo paese di produzione europea del biologico subito dopo la Spagna.
Il “Manifesto della green economy per l’agroalimentare” si integra perfettamente, ha sottolineato il viceministro delle Politiche agricole Andrea Oliviero «con la Carta di Milano perché oggi ci troviamo di fronte a un nuovo modello di sviluppo agricolo, che rispetta le colture e le culture e fa della diversità un fattore positivo. Il modello italiano coniuga tradizione e innovazione, valorizza i territori e le comunità locali e rispetta l’ambiente». Dello stesso avviso anche Claudia Sorlini che di Expo2015 è il presidente del Comitato scientifico e pone l’accento sulla riduzione degli sprechi. «Vogliamo che la sostenibilità entri nella realtà dell’agroalimentare italiano – conclude -. L’aumento della domanda di cibo, e in particolare di quello di origine animale, rende necessaria una gestione oculata e sostenibile delle risorse. Prima di aumentare la produzione, è importante eliminare perdite e sprechi che da soli ci permetteranno di avere a disposizione un terzo di cibo in più».