Silenziosi e letali. Sono oltre 30.000 gli ordigni inabissati nel sud del Mare Adriatico, di cui 10.000 solo nel porto di Molfetta e di fronte a Torre Gavetone, a nord di Bari. Sono 13.000 i proiettili e 438 i barili contenenti pericolose sostanze tossiche inabissati invece nel meraviglioso golfo di Napoli. E 4300 le bombe all’iprite e 84 le tonnellate di testate all’arsenico nel mare antistante Pesaro. Ci sono poi i laboratori e i depositi di armi chimiche della Chemical City in provincia di Viterbo e l’industria bellica nella Valle del Sacco a Colleferro. Infine sono migliaia le bomblets, piccoli ordigni derivanti dall’apertura delle bombe a grappolo, sganciati dagli aerei Nato sui fondali marini del basso Adriatico durante la guerra in Kosovo.
Questi arsenali, prodotti dall’industria bellica italiana dagli anni ‘20 fino alla seconda guerra mondiale e coperti per anni dal Segreto di Stato, continuano a rilasciare pericolose sostante tossiche che da più di 80 anni causano gravi danni all’ecosistema della Penisola e alla salute delle popolazioni locali.
Legambiente, insieme al Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, ha fatto il punto della situazione con il dossier “Armi chimiche: Un’eredità ancora pericolosa”, presentato questa mattina a Roma. Nel corso del convegno è stata presentata una mappatura dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra mondiale. <<Si tratta di cimiteri chimici che rilasciano sostanze killer dannosissime come arsenico, iprite, lewsite, fosgene e difosgene, acido cloro solfonico e cloropicerina – ha spiegato Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente – Per richiedere la bonifica di questi siti e per denunciare queste situazioni, è nato il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, al quale ha aderito l’associazione. L’obiettivo è di promuovere azioni per la difesa dell’ambiente e la protezione contro i rischi derivanti dall’esposizione a sostanze tossiche provenienti dalle armi chimiche e dalla mancata bonifica dei siti civili e militari a terra, nei laghi, nei fiumi e nel mare, in cui queste armi sono state fabbricate o abbandonate. Su questo ci aspettiamo un cambio di passo e un segnale di protagonismo e trasparenza da parte delle istituzioni, a partire dal Ministero della Difesa e dal Parlamento >>.