Il processo Eternit si è concluso con una sentenza storica: 16 anni di reclusione per gli ex dirigenti, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis Carthier. La sentenza di Torino non rappresenta però la fine di questa situazione di emergenza, visto che l’incubazione del mesotelioma può durare anche 30-40 anni. Ci saranno altre vittime oltre i quasi 3000 che sono morti dopo aver respirato veleno giorno dopo giorno. E Casale Monferrato non è l’unica realtà dove si muore di asbestosi, di mesotelioma o di tumore alla laringe per esposizione ad amianto.
<<È impossibile fare una conta precisa sia della quantità di amianto ancora presente sul territorio nazionale, dato che siamo ancora in fase di mappatura, sia del numero reale delle vittime – spiega l’avvocato Ezio Bonanni responsabile dell’Osservatorio Nazionale Amianto, associazione rappresentativa delle vittime dell’amianto in Italia che ha ormai sedi in tutto il territorio nazionale – Le statistiche ufficiali non possono che fornire una stima per difetto: per esempio, i morti in Italia ogni anno per mesotelioma sono 1200 secondo il Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) ma alcuni casi sfuggono necessariamente per cui il numero reale si avvicina più ai 1500. Circa 3000 sono i carcinomi polmonari, 700 i casi di asbestosi. Ma sono numeri da aggiornare e in crescita. E poi ci sono le altre malattie: l’amianto è un cancerogeno che attacca tutti gli organi, non solo la pleura e i polmoni, perché induce una modificazione nella riproduzione delle cellule del corpo. Non esiste un registro per ciascuna delle patologie legate all’amianto. Nel complesso si può fare una stima di 5000 morti l’anno in totale>>.
Ci sono ancora circa 32 milioni di tonnellate di amianto in giro per l’Italia. È ancora largamente presente nei siti lavorativi e extralavorativi, nelle vecchie caldaie, nei vecchi impianti di condizionamento, nei sistemi di coibentazione delle tubature e sui tetti delle strutture. <<A Cogne c’è una vecchia acciaieria dove i macchinari risalgono all’inizio del ‘900 – continua Bonanni – E non è l’unico esempio di questo tipo. Tutti i vecchi stabilimenti hanno questo problema che non si risolverà se non verrà introdotto a livello legislativo l’obbligo di bonifica. Nel 1992 è stato introdotto il divieto di estrarre, utilizzare e commercializzare l’amianto e i prodotti che lo contengono ma non quello di bonificare i siti in cui è presente. La legge fissa un limite soglia di 100 fibre/litro per i siti lavorativi ma non è ammissibile perché essere esposti tutto il giorno alle fibre aerodisperse dell’amianto, anche a basse dosi, rappresenta un pericolo per la salute. Queste fibre sono microscopiche, penetrano nell’organismo e alterano i meccanismi di riproduzione delle cellule innescando i tumori. Nei siti lavorativi l’amianto viene tagliato e movimentato: questo lo rende più pericoloso rispetto a quello presente per esempio sui tetti delle strutture perché in questi casi, essendo compattato, rilascia meno fibre ma anche questo amianto col tempo si deteriora. Non se ne esce più in questo modo. Ad oggi la legge non impone la bonifica dei siti e ci sono ancora lavoratori esposti. Per questo Il 22 febbraio abbiamo fissato un incontro con il Ministero della Sanità dove chiederemo di rendere obbligatoria la bonifica dei siti per riuscire a eliminare completamente l’amianto dal territorio nazionale nel giro di una decina d’anni. Ci sembra un termine ragionevole. Altrimenti siamo pronti a costituirci parte civile contro lo Stato, per quanto ci sarebbero gli estremi del penale>>. La mappatura dei siti non è ancora finita. Per questo è importante segnalarli alle ASL, all’Osservatorio Nazionale Amianto e alle rappresentanze sindacali, nel caso si tratti di siti lavorativi.