Una volta c'erano i vicini di casa. Oggi ci sono i cohouser. Single e coppie con o senza figli che decidono di condividere un "progetto abitativo": appartamenti individuali con una rete di servizi comuni, dove vivere in relazione con gli altri. All'insegna della condivisione e del risparmio. Con un obiettivo chiaro: migliorare la qualità della vita
Il cohousing riunisce le persone in una vera e propria microsocietà che non ha altra ideologia se non quella del miglioramento della qualità della vita. Si tratta di una scelta di progettazione partecipata che prevede la condivisione di alcuni spazi e attività comuni, mantenendo l’individualità della propria abitazione e dei propri ritmi di vita. «Chi sceglie questa esperienza deve sapere che è impegnativa, in termini di tempo e di capacità di mettersi in discussione, spiega Nadia Simionato, responsabile marketing e comunicazione di Cohousing.it (sito online dedicato proprio a questo argomento) le persone devono avere un modo di pensare molto simile e devono essere predisposte ad accettare le opinioni altrui, dialogare e accogliere il confronto: non essere chiuse, insomma… Il metodo è quello del consenso: tutti devono essere d’accordo. Non contano il ceto o l’età ma la predisposizione all’apertura nei confronti del prossimo e ciò dipende dalla formazione e dall’esperienza di vita di ogni individuo».
L’esperienza italiana, ispirata a quella di altri Paesi europei e d’oltreoceano (Danimarca, Canada, Stati Uniti) è iniziata con la ricerca Il vissuto e l’immaginario del vivere a Milano lanciata nel capoluogo lombardo e in Lombardia nel 2006. L’idea di promuovere, in Italia, un progetto di trasformazione sociale intorno al cohousing è nata dall’incontro di due realtà: l’agenzia per l’innovazione sociale Innosense Partnership e il Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano. La ricerca ha generato un risultato importante: oltre 3.600 questionari completati in quindici giorni, con più di 2.800 manifestazioni di interesse al cohousing. Contestualmente sono nati il sito Cohousing.it e Cohousing Ventures, società che promuove progetti immobiliari di coresidenza sul territorio, in partnership con operatori immobiliari privati e cooperativi. Nel tempo si è costituita una comunità che oggi arriva a 8500 persone iscritte, la metà delle quali si trova a Milano, seguono poi Firenze, Torino, Napoli, Genova e altre città. «Le fasce di età sono trasversali ma la meno coinvolta è quella intorno ai 50 anni e comprende le coppie con figli adolescenti che non sentono il bisogno di cambiare vita», aggiunge Simionato, «Sono invece numerose le coppie con figli piccoli o senza, i single e le coppie giovani o in età più avanzata»
Progetti in tutta Italia
«I primi progetti sono nati in modo “sollecitato”, soprattutto nelle grandi città» spiega Nadia Simionato, «come nel caso di Urban Village quartiere Bovisa (www.cohousing.it/urbanvillage) a Milano. Qui i 32 nuclei familiari che lo compongono sono andati a vivere nelle loro case tra luglio e settembre 2009: lo stabile era già in costruzione quando si fecero avanti le proposte di acquisto dei cohouser, così l’architetto lo ha adattato alle loro esigenze».
Questo cohousing multigenerazionale è composto soprattutto da single, terza età e giovani coppie con e senza figli, distribuiti in 32 residenze private (dai 50 ai 140 mq) e circa 300 mq di spazi condivisi: oltre al giardino, ci sono locali coperti (living room, lavanderia con zona stiro, hobby room, deposito biciclette ed eventuale deposito merci del Gruppo di Acquisto Solidale), una terrazza di 185 mq con piscina scoperta di 12 x 4 mt e zona barbecue.
«Finora gli architetti hanno adattato opere già esistenti alle esigenze del cohousing, ma saranno sempre più loro a idearlo e proporlo, soprattutto nelle zone dove c’è la necessità di creare micro comunità», continua Simionato. Si stanno infatti realizzando nuove partnership che coinvolgeranno gruppi di progettisti. «Un esempio per tutti è quello di Offarchitetti che con il coordinamento di Giano Donati sta creando un vero e proprio network progettuale finalizzato a operazioni di scouting che prevedano attenzione alle qualità costruttive con i benefici sociali ed economici e che ne conseguono. L’effetto combinato dei servizi condivisi genera infatti un risparmio notevole nel costo della vita stimato dagli stessi abitanti intorno al 10- 15 percento annuo».
Offarchitetti ha anche già progettato Cosycoh nella zona di via Ripamonti a Milano (Via Alamanni, 20), il primo progetto di cohousing in affitto europeo, partito ad aprile 2010: otto appartamenti nuovi, da 60 a 100 mq destinati a giovani con meno di 36 anni di età che hanno a disposizione una sala comune polifunzionale di 65 mq al 5° piano, una terrazza e una zona lavanderia al piano interrato.
Servizi comuni, più risparmio
Una delle caratteristiche distintive di questa forma abitativa è proprio la condivisione di molti servizi tra i cohousers tra cui i più diffusi sono: spazio multifunzionale comune (spesso dotato di cucine), play-room per i bambini (spesso ospita un micronido), concierge-centro servizi (paga le bollette, riceve la posta, fa prenotazioni), ampio spazio verde (spesso con orti o serre), hobby-room attrezzata, servizio di car-sharing o bike-sharing, lavanderia (automatica o presidiata con outsourcing esterno), spazio per la raccolta e il compostaggio dei rifiuti, forniture energetiche alternative o cogestite. Le esperienze più avanzate includono anche uno spazio per il telelavoro, un magazzino-dispensa infermeria.
I pro e i contro
«Una volta giunto a buon fine l’esperimento comunitario, fatto di lunghe e frequenti riunioni e attività comuni, i cohouser sono pronti per camminare con le proprie gambe. Lo prova il fatto che attualmente la richiesta non riesce a coprire l’offerta», aggiunge la responsabile marketing. «Dietro a ogni progetto c’è una impegnativa attività di scouting che comporta molti incontri con ognuno dei probabili cohouser. Si tratta di un lungo lavoro di costruzione di relazioni tra le persone. Bisogna instaurare relazioni positive con gli altri e ciò è davvero molto complesso perché ci occupiamo di tutte le aree: dal player immobiliare (la componente business è fondamentale) alla persona che andrà a occupare la casa. Gli imprenditori sensibili non sono tanti perchè il costruttore non è abituato a queste procedure, ma una volta trovato quello giusto, si riesce a instaurare un rapporto intenso che continua nel tempo», conclude Simionato.
Le sfide per il futuro
L’attività di Cohousing.it è attualmente concentrata su due fronti: da una parte l’individuazione di aree sulle quali sviluppare progetti adeguati, per poi affidarli al costruttore, dall’altra sulla formazione dei “facilitatori“: figure con competenze sociologiche, psicologiche ma anche tecniche che accompagnino i gruppi alla progettazione partecipata. «Si propone il progetto, lo si comunica accompagnando gli aspiranti cohouser attraverso un vero e proprio percorso formativo che li trasformi in una vera comunità e si conclude con la stipula di una “carta dei valori”, il corrispettivo del tradizionale regolamento che resterà valido anche per eventuali futuri interessati che dovessero subentrare», precisa Nadia Simionato. «Un’altra soluzione molto intelligente, già adottata anche all’estero, in caso di vendita», aggiunge Simionato, «è risolvere il problema a monte, ossia creare una sorta di “waiting list” (le richieste sono sempre molto superiori alla disponibilità di alloggi) accettata da tutti, che consenta di conoscere in anticipo chi desidererebbe far parte di quel determinato cohousing prima che sia disponibile un appartamento e, nel caso si liberasse, proporlo subito proprio a quella persona che aveva già ottenuto il gradimento degli altri in fase preliminare.
«In questo periodo stiamo partecipando a un bando per formare figure professionali specializzate nell’aiutare gli aspiranti cohouser in ogni tappa, dall’acquisto all’inserimento. E i candidati più idonei potrebbero essere proprio gli architetti con un percorso sociale o quelli che si sono già specializzati nel design dei servizi».