L'architetto africano Diébédo Francis Kéré ha vinto la seconda edizione del BSI Swiss Architectural Award per il 2010, realizzando il proprio sogno: la costruzione di una scuola nel suo villaggio di origine, in Burkina Faso. Un progetto originale, con una marcia in più: il coinvolgimento di tutti gli abitanti nella sua realizzazione
Nato nel Burkina Faso nel 1965, figlio primogenito del capo del villaggio di Gando (Burkina Faso) Diébédo Francis Kéré inizia giovanissimo la sua formazione con un apprendistato per imparare il mestiere di falegname. Una scelta insolita nel suo Paese che gli apre, però, le porte di un programma del ministero tedesco per la cooperazione e lo sviluppo.
Nel 1990 si trasferisce a Berlino (grazie a una borsa di studio), dove frequenta il liceo serale per poi accedere nel 1995 alla Facoltà di Architettura Technische Universität, dove si laurea nel 2004 e oggi insegna. Nel 1998 costituisce l’Associazione Schulbausteine für Gando grazie alla quale raccoglie fondi per la costruzione di una nuova scuola elementare, nel proprio villaggio natale. Lo abbiamo incontrato all’Accademia di Architettura di Mendrisio (Svizzera) in occasione della seconda edizione del BSI Swiss Architectural Award, premio internazionale di architettura promosso da BSI Architectural Foundation, di cui Kéré (selezionato tra 28 candidati di 15 Paesi) è risultato vincitore per il 2010. Come progettista preferisce dedicarsi al suo Paese e ad altri in cui l’architettura è ancora una risposta a bisogni primari di riparo, cura ed educazione.
«Ho avuto la fortuna di partire dal mio Paese per andare in Germania a studiare. Poi, però, a metà degli studi universitari, ho deciso di tornare al mio villaggio per costruire la scuola, con grande gioia degli abitanti», ha raccontato Diébédo Francis Kéré emozionato e consapevole di aver realizzato il proprio sogno. «I miei concittadini si aspettavano una costruzione in cemento, come quelle in Germania dove ero stato a studiare, ma i soldi erano pochi così ho proposto di usare la terra come materiale costruttivo. Dopo i primi momenti di perplessità, li ho convinti e tutto il villaggio si è mobilitato nella costruzione: chi portava le pietre, chi i materiali, chi batteva la terra per spianarla. Abbiamo avuto il coraggio di non copiare un’estetica occidentale consolidata», aggiunge orgoglioso Kéré.
L’edificio, realizzato nel giro di dieci mesi e inaugurato nell’ottobre del 2001, è infatti concepito in modo tale da garantire un’efficace ventilazione naturale degli ambienti, generata dalla combinazione di un involucro in mattoni di terra cruda (con elementi di cemento armato) e provvisto di ampie finestre e volte con spiragli di aerazione, e di una seconda copertura metallica molto ampia, che produce ombra e ripara la costruzione durante la stagione delle piogge. Le tecniche costruttive sono adeguate alle risorse locali e mirano a valorizzare le competenze della manodopera locale, coinvolgendo nel processo di realizzazione l’intera popolazione del villaggio. La qualità dei nuovi spazi ha fatto sì che la scuola venisse frequentata da un numero sempre crescente di alunni, sollecitando dopo pochi anni la costruzione, nel 2008, di nuove aule e alloggi per i docenti.
Un progetto importante, intelligente, che non a caso ha pienamente meritato il BSI Swiss Architectural Award, per “la singolare capacità del progettista di creare edifici che sono saldamente radicati nella tradizione culturale e nel tessuto sociale del proprio Paese africano di origine, il Burkina Faso, e sono l’esito di un intenso coinvolgimento delle comunità locali“. Il premio, del resto, ha proprio l’obiettivo di riportare l’attenzione del grande pubblico sul valore sociale e ambientale dell’opera di architettura: prevede, infatti, la selezione di architetti altamente qualificati (di età non superiore ai 50 anni), che abbiano fornito con il loro lavoro un contributo rilevante alla cultura architettonica contemporanea, dimostrando una particolare sensibilità al contesto paesaggistico e ambientale.
«Con Diébédo Francis Kéré l’architettura ritrova i suoi significati più profondi, legati a un’attività in grado di affrontare importanti problemi là dove persistono povertà e sottosviluppo», ha aggiunto Mario Botta presidente della giuria. «Un’architettura di grande umiltà che indica con forza come l’etica del costruire talvolta conduca ai meravigliosi silenzi del linguaggio poetico», ha proseguito Botta. «Il lavoro di Kéré tocca corde diverse e porta l’atto del progettare alla sua essenzialità estrema, come attività di protezione dell’uomo, attenta alle esigenze di un continente che dovrà emergere con le sue contraddizioni», ha concluso Botta. «Kéré oggi ha spinto l’opera architettonica a toccare elementi che colpiscono per semplicità e intensità».