In provincia di Lodi un progetto dell'Azienda Ospedaliera aiuta i malati psichiatrici a uscire dal loro isolamento e integrarsi nella società. Ideando oggetti di uso quotidiano belli e utili
Il design è lo strumento che può restituire ai malati psichiatrici una nuova capacità di relazione con se stessi e con la comunità in cui vivono. Lo dimostrano una ventina di persone fra donne e uomini, dai 20 ai 40 anni, pazienti difficili e con patologie psichiatriche gravi, che partecipano al progetto “Ri-Costruzione. La casa del lavoro possibile“, promosso dal Dipartimento di Salute mentale dell’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi con il finanziamento assegnato dalla Regione Lombardia nell’ambito dei progetti innovativi e la collaborazione della cooperativa sociale Il Mosaico. L’idea è venuta a Maurizio Sommi ed Eligio Gatti, medici psichiatri, che nel 2006 hanno avviato il progetto nei locali dell’ospedale di Casalpusterlengo (Lodi). Il concetto di partenza è semplice: persone di spiccata sensibilità e fragilità (come spesso sono anche gli artisti) e con abilità manuali possono essere in grado di ideare e progettare oggetti d’uso quotidiano belli e utili, producibili da artigiani e industria; ritrovando, nel contempo, capacità perdute, scoprendone di nuove e imparando a convivere meglio con se stesse. Attraverso il recupero e l’impiego dei più diversi materiali di scarto, in laboratorio nascono oggetti originali, dissonanti ed estremi, ridondanti per forme e colori, capaci di esprimere un’”altra” visione e percezione del mondo dove l’eccentricità diventa poesia. Chiamarlo progetto riabilitativo non è sufficiente, in gioco c’è molto di più. Oggi, con sei anni di esperienza alle spalle e un portfolio di prototipi che comprende sedie e tavoli, contenitori, vassoi, lampade e complementi d’arredo (realizzati con le tecniche più disparate) il progetto è a una svolta e non solo perché a dicembre 2011 si chiuderà il secondo percorso progettuale sostenuto dai finanziamenti pubblici: la creazione del nuovo laboratorio a Lodi, non più nell’ambiente protetto dell’ospedale ma in città, apre una nuova strada che mira, attraverso la creatività, a nuove modalità di relazione fra i malati e la comunità.
Dall’isolamento alla condivisione
«Faremo i salti mortali per far procedere il laboratorio, anche se dovessero arrestarsi i sussidi economici, cercheremo di andare avantia ogni costo», assicura Maurizio Sommi. «Stiamo prendendo contatti con aziende del settore del design: la produzione e la commercializzazione degli oggetti porterebbe a ritorni economici utili per continuare con il progetto. Abbiamo già realizzato un tappeto e ora stiamo sviluppando un tavolo ideale per i bambini, già affidato a un artigiano che lo produce su richiesta». Sul sito Internet www.ri-costruzione.com le aziende possono visitare le pagine del catalogo dei prototipi già realizzati, aggiornarsi sugli ultimi oggetti prodotti e contattare i responsabili per avviare insieme percorsi di produzione. L’obiettivo è duplice: arrivare alla sussistenza economica e dare vita a una vera e propria “Casa del lavoro possibile” capace, anche, di generare un reddito da ridistribuire. Una prospettiva ancora più importante in una fase critica come quella attuale, che troppo spesso rischia di far pagare proprio ai più deboli i costi pesanti dei tagli alla spesa sociale. Intanto si lavora per l’imminente trasloco a Lodi. «Il trasferimento è legato alla richiesta di avere un posto più adeguato per svolgere le attività del laboratorio ma, anche, di uscire dalle mura dell’ospedale, utilizzando uno spazio accessibile poco lontano dalla città, vicino a bar e spazi verdi» continua Sommi. Un passo importante: «Le nostre attività riabilitative sono sempre state svolte con l’intento di avvicinare i pazienti al territorio. Grazie alla nuova sede avremo finalmente a disposizione spazi visibili e visitabili». La maggior parte dei pazienti coinvolti attivamente nel progetto “Ri-Costruzione” risiede nel proprio alloggio. Uscire di casa per recarsi al lavoro in laboratorio, per loro, è la vittoria più grande. Vedere le opere prodotte in mostra, per due edizioni (nel 2009 e nel 2011) al Salone Satellite della Milano Design Week, alla Triennale di Milano e in altre occasioni come il Festival della Poesia di Genova, è stata una vera soddisfazione. «Siamo riusciti a portare all’interno di questa esperienza persone ritirate e asserragliate in casa, che non soltanto sono uscite dal proprio isolamento, ma hanno scoperto di saper realizzare oggetti di valore estetico elevato, al punto da essere esposti al pubblico. Le mostre sono sempre state l’occasione per capire che non siamo soli a produrre i nostri oggetti, così come per uscire dal contesto dell’ospedale ed entrare in contatto con il resto della società», conclude Sommi.
Libertà di espressione
Alla “Casa del lavoro possibile” si impara che un oggetto nasce nella fantasia estrosa dell’autore, ma prende forma con un contributo corale. Accanto ai pazienti lavorano Maurizio Costa (del laboratorio Decor-Azione), Paola Dellera e Giulia Reghellin, designer che ha collaborato per oltre quattro anni con lo studio di Cleto Munari. «Per i nostri pazienti il design è soprattutto la possibilità di esprimersi liberamente», spiega ancora Sommi, «in laboratorio le persone esplorano e creano per conto loro chiedendo aiuto ai docenti». Artigiani, maestri d’arte, decoratori e designer li aiutano a dare forma ai progetti, dal rendering al modello in tre dimensioni. Un maestro del calibro di Alessandro Mendini ha messo in luce come “ribaltando la prospettiva e lo sguardo, queste loro visioni potrebbero aprire la nostra razionalità verso inediti intuiti di progetto, verso sensazioni e poetiche del tutto inesplorate”. Secondo Cleto Munari questi designer “ex-centrici“, fuori dal centro, decentrati e decentranti, possiedono una propria voce, una mano originale, uno stile, proprio di tutti i poeti, i cui oggetti riflettono un mondo interiore e un tratto del vissuto personale che si esprime anche attraverso la gioia del fare.