Sorge in territorio palestinese, a pochi chilometri da Gerusalemme, ed è nata dall'idea di un gruppo di architetti italiani. Un edificio realizzato con pneumatici di scarto, e attrezzature alimentate dall'energia solare, che offrirà ai bambini uno spazio per studiare
Riciclare un materiale impossibile da smaltire e aiutare una comunità in difficoltà. La scuola di gomme, in territorio palestinese vicino a Gerusalemme, è un progetto di cooperazione internazionale, nato da un’idea di cinque architetti italiani, quattro di Pavia e uno di Milano. I progettisti, tutti dottorandi dell’Università di Pavia, hanno ideato e costruito, per i bambini della cittadina beduina palestinese di Al Khan Al Ahmar, un edificio dove i pneumatici di scarto sostituiscono i mattoni.
«L’idea delle gomme non è nostra», precisa Diego Torriani, 30 anni, a capo del gruppo di architetti «E’ una tecnica già sperimentata negli USA, anche se poco impiegata. Noi ci siamo trovati quasi “costretti” a utilizzarla: la zona interessata dal progetto è sotto il controllo militare israeliano e costruire edifici in cemento o con i mattoni è vietato».
Così gli architetti italiani si sono messi al lavoro con le gomme di scarto, un materiale facilmente reperibile e a costo zero in un orto a Pavia. «Era un workshop un po’ improvvisato», commenta ancora Torriani, «ma d’altronde avevamo bisogno di uno spazio abbastanza grande per poter sperimentare il materiale. Le gomme vanno riempite di terra, anche se bisogna ammettere che l’argilla della pianura Padana è molto diversa dalla sabbia del Medio Oriente. Quindi, una volta sul posto, siamo stati costretti a fare alcune modifiche».
La costruzione della scuola, durata appena 15 giorni, è stata seguita passo passo da Diego che, senza poche difficoltà, ha diretto i lavori con le maestranze locali. «I muratori parlavano in dialetto e io cercavo di comunicare in inglese. I primi giorni sono stati tremendi, ma poi ho imparato almeno le parole fondamentali». I manovali beduini hanno accatastato, a file sfalsate proprio come dei mattoni, circa 2000 pneumatici imbottiti di sabbia e rivestiti di calce, su una superficie di circa 350 metri quadrati.
La scuola è composta da quattro aule, servizi e un ufficio. Sul tetto sono stati installati dei pannelli solari che alimentano i computer, le fotocopiatrici e l’illuminazione della struttura, mentre tra il tetto e le assi sono state progettate delle finestrelle che favoriscono la ventilazione: il risultato è che la temperatura interna della scuola è di 7 gradi più bassa rispetto alla torrida temperatura esterna.
Il progetto, richiesto da Vento di terra, una onlus di Rozzano, nel milanese, aveva lo scopo di risparmiare ai bimbi beduini della zona un viaggio quotidiano di 14 chilometri a piedi lungo una strada altamente trafficata. «Lo scorso anno un bambino è morto travolto da un auto». Disegnato e realizzato in sette mesi, da febbraio a settembre 2009, il progetto è costato 82mila euro: tra i finanziatori c’è anche il Consolato Italiano a Gerusalemme. Nonostante i grossi problemi burocratici (l’edificio si trova su un territorio conteso tra Israeliani e Palestinesi), culminati con tre richieste di demolizione (per ora congelate) la scuola è stata riconosciuta dall’Autorità palestinese e, a giugno, le lezioni sono terminate regolarmente.
L’anno scorso i cinque architetti hanno fondato Arcò, un gruppo di progetto dedicato all’architettura per la cooperazione internazionale. E ora sono già all’opera su una nuova idea: da pochi giorni sono tornati a sperimentare nuovi materiali ecosostenibili in Palestina. La sfida, che riguarda ancora una volta una scuola, si è spostata ad Abu hindi, in Cisgiordania, dove al posto dei mattoni, o delle gomme, verranno utilizzati paglia e canne di bambù.