Si tratta di un tema che genera grande dibattito nell’ambiente scientifico e nell’opinione pubblica. Vediamo cosa dice la legge in merito e le motivazioni a favore e contro la sperimentazione animale
Il tema di diritti e tutela degli animali, per fortuna, accende sempre più interesse, sempre più passione, sempre più dibattito. Anche grazie all’incessante attivismo dal basso, i passi avanti compiuti in questi ultimi anni sono davvero notevoli. Ma alcuni temi sono ancora particolarmente spinosi, anche perché circola una certa confusione. È il caso della vivisezione sugli animali: è sacrosanto dirsi contrari, ma siamo sicuri di sapere esattamente qual è il significato di vivisezione? E poi: in Italia, la vivisezione è illegale o legale? E a che condizioni? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Che differenza c’è tra vivisezione e sperimentazione animale
Il significato di vivisezione si intuisce dalla parola stessa: è l’insieme delle pratiche chirurgiche, sperimentali o meno, che si praticano sugli animali vivi senza curarsi della loro sofferenza. Per risalire all’origine di questa prassi bisogna tornare indietro di secoli, fino al Cinquecento, quando i primi studi sull’anatomia venivano condotti proprio su creature ancora in vita, nella convinzione che l’uomo avesse il diritto di disporne a suo piacimento.
Qui però subentra il primo equivoco, perché spesso e volentieri si adopera il termine “vivisezione” come sinonimo di “sperimentazione animale”. In questo secondo caso, però, ci si riferisce a test scientifici, biologici, farmacologici ecc. che coinvolgono animali opportunamente anestetizzati. Sempre di test sugli animali si tratta, ma in questo secondo caso si adottano procedure codificate.
Cosa prevede la legge italiana sulla vivisezione
La vivisezione, nel suo significato di incidere il corpo degli animali senza anestesia e senza tutele, è illegale in Italia e in Europa. A regolare la sperimentazione animale è invece la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, valida in tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Il suo campo di applicazione riguarda tutti i vertebrati vivi, ma anche alcuni invertebrati che provano dolore, come seppie e polpi. Per quanto riguarda i primati, fa delle distinzioni: le scimmie antropomorfe come scimpanzé, bonobo, gorilla e oranghi non possono essere coinvolte nella sperimentazione, mentre altre specie sì, ma solo per settori biomedici fondamentali per i quali non esistono alternative valide.
In quali settori è prevista la sperimentazione animale e in quali no
La direttiva europea permette la sperimentazione animale soltanto in ambito medico, scientifico, farmaceutico e didattico. Si possono effettuare test sugli animali anche per la messa a punto, la produzione e le prove di qualità, efficacia e innocuità di farmaci, prodotti alimentari, mangimi, sostanze chimiche eccetera.
E i cosmetici, di cui si sente parlare così spesso? Sono regolati da altre direttive che vietano rispettivamente dal 2004 di testare trucchi, creme, saponi e profumi sugli animali nell’Unione europea, dal 2009 di testare anche i loro ingredienti e di vendere qualsiasi prodotto che sia stato precedentemente testato sugli animali, magari in altri Paesi.
Fino al 2013 erano previste alcune eccezioni, per i test che riguardavano gli effetti sulla salute umana, ma anch’esse sono state cancellate. Una grande vittoria per le organizzazioni animaliste che si erano battute per anni per raggiungere questo risultato. Sempre le ong, però, sottolineano come il divieto non sia ancora totale: alcuni specifici ingredienti, infatti, ricadono nel perimetro di altre normative.
I criteri per sottoporre gli animali ai test di laboratorio
La direttiva mette in chiaro innanzitutto che i test sugli animali vivi vanno presi in considerazione solo in assenza di alternative e, in ogni caso, previa valutazione da parte dell’autorità competente. Impone inoltre di coinvolgere il minor numero possibile di animali, sistemarli in gabbie di dimensioni sufficienti permettendo loro di muoversi, adottare procedure che evitino il più possibile di causare loro dolore, angoscia o sofferenza. In gergo si parla del “principio delle tre R”: replace, reduce and refine (sostituire, ridurre e perfezionare). Soltanto il personale qualificato può interagire con gli animali e sopprimerli. Tutti gli allevatori, fornitori e utilizzatori degli animali sono sottoposti a ispezioni periodiche.
Favorevoli e contrari alla sperimentazione animale
Tra le voci favorevoli alla sperimentazione animale ci sono innanzitutto gli istituti che si occupano di ricerca scientifica e sostengono di non poterne fare a meno nella fase che segue la ricerca di base e precede i test sull’essere umano. Sono di questa opinione per esempio la Fondazione Airc per la ricerca sul cancro e la Fondazione Veronesi.
A detta delle organizzazioni animaliste, al contrario, le garanzie offerte dalla legge non sono ancora sufficienti. La Lega anti vivisezione (Lav) sostiene che l’espressione “sperimentazione animale”, neutra e rassicurante, nasconda una realtà fatta di “milioni di animali sottoposti a fratture, ustioni, asportazione di organi, prelievi, somministrazione di sostanze tossiche, immobilizzati e spesso senza anestesia”. Animali che, alla fine degli esperimenti, hanno due possibilità: morire, perché soppressi o per la conseguenza delle sostanze tossiche assunte, oppure ricominciare un nuovo ciclo. Con tutto il carico di stress fisico e psicologico che ciò comporta. In virtù di questo, la Lav fa appello innanzitutto al mondo scientifico, affinché sia compatto nella ricerca di alternative praticabili e si lasci alle spalle questo retaggio di crudeltà.
Valentina Neri