Merli, caprioli, acquile reali, tassi e scoiattoli. Sono solo alcuni degli animali salvati nel centro di recupero lombardo di Vanzago. Una struttura che soltanto nel 2010 ha restituito 2000 animali, feriti o ammalati, al loro habitat. Coccole e cure sono offerte da cinquanta volontari. Che li seguono con grande affetto. Talvolta fin troppo. Perché quando il "paziente" guarisce...
Il momento tanto atteso è quello della liberazione: dopo giorni, settimane, a volte anche mesi di cure e riabilitazione, il gufo reale spalanca le ali e vola via. I volontari che lo hanno accudito lo guardano allontanarsi con molto orgoglio e una punta di malinconia, perché ormai gli si erano affezionati. E’ una scena che si ripete con grande frequenza nei Centri di Recupero per Animali Selvatici (CRAS): cambiano solo i protagonisti, animali e umani.
I Centri, distribuiti in ogni regione italiana, sono strutture dedicate all’accoglienza, degenza, cura, riabilitazione e reinserimento della fauna selvatica autoctona, cioè caratteristica del luogo (serpenti, iguane e gli altri animali che tanto vanno di moda in questi anni vengono invece ospitati in altre strutture, i Centri per Animali Esotici). A Vanzago, alle porte di Milano, il Wwf ospita un CRAS cui fanno riferimento le province di Milano, Varese, Como e Monza Brianza. E’ qui che sono stati portati gli animali colpiti dal disastro ambientale del fiume Lambro avvenuto a febbraio. Istituito nel 1995, solo nel corso del 2010 ha accolto più di 2200 esemplari, che solitamente vengono portati da cittadini, da associazioni come l’Ente Protezione Animali o dalla Polizia Provinciale responsabile della fauna. «I numeri crescono di anno in anno», spiega Luigi Migliavacca, coordinatore dei volontari, «e nel 2010 siamo arrivati a punte di 35 ricoveri al giorno», aggiunge. «Credo ci siano diverse ragioni: innanzitutto una maggiore sensibilità che spinge le persone a raccogliere gli animali feriti e a portarli da noi, poi una più diffusa conoscenza dell’esistenza dei Centri, ma purtroppo anche un aumento dell’impatto della presenza umana sulla vita selvatica, che causa più incidenti». Sì perché è proprio l’uomo la causa principale delle ferite che affliggono gli ospiti dei CRAS: caccia, incidenti stradali, trappole, impatto con finestre e altre costruzioni dell’uomo. Bisogna anche dire che spesso c’è un eccesso di zelo e di sensibilità da parte dei cittadini, che non appena avvistano un piccolo esemplare, apparentemente abbandonato, si precipitano a consegnarlo ai volontari di Vanzago, senza rendersi conto che in realtà l’animale era in perfetta salute e si era staccato solo momentaneamente dalla madre. Il protocollo prevede però che l’esemplare venga comunque preso in carico, svezzato, e solo successivamente liberato. «Soprattutto nel periodo estivo è normale trovare piccoli uccelli a terra o cuccioli di capriolo da soli», aggiunge Migliavacca, «se non si notano problemi evidenti, meglio lasciare gli animali dove si trovano. Ma soprattutto è meglio evitare il fai da te, che spinge a portarli a casa e cercare di nutrirli».
A Vanzago, in un piccolo angolo di pianura padana risparmiata dal cemento, gli ospiti che più di frequente arrivano al Centro sono merli, rondoni, germani reali, rapaci notturni come i gufi, e poi mammiferi come ricci, scoiattoli, conigli selvatici, caprioli e tassi. In una delle voliere c’è anche un’aquila reale, cui nel 2003 è stata amputata un’ala impallinata da un cacciatore: essendo impossibile la reintroduzione in natura, rimarrà qui per sempre. Un destino che fortunatamente circa il 50 percento degli ospiti non condivide perché viene liberato al termine del percorso di cura e riabilitazione.
Una percentuale molto alta, considerando che molti animali arrivano già in condizioni disperate e che comunque in natura non sarebbero sopravvissuti alle ferite. Il merito è tutto dei volontari che dedicano almeno mezza giornata alla settimana alla cura degli “pazienti”. «Sono loro che ci permettono di far funzionare la struttura», spiega Viviana Dall’Ora, responsabile del CRAS. «Una cinquantina di persone dai 18 agli 80 anni, studenti, lavoratori e pensionati, che sono presenti 365 giorni l’anno e che, sotto la direzione di un veterinario, preparano cibo, puliscono gabbie e voliere, alimentano e danno terapie. È soltanto grazie al loro entusiasmo se possiamo reggere una tale mole di lavoro, considerando che i nostri fondi sono limitati alle sole convenzioni con le Province».
Anche se si muovono all’interno del centro in camicie bianco, ai volontari WWF non serve avere nessuna formazione specifica precedente. La formazione è interna, basta la voglia di imparare: si inizia con le operazioni più semplici, poi si cresce sotto la guida del veterinario e dei più anziani. Ciascuno però porta le proprie competenze: se sei un elettricista, nessuno ti dirà di no se vuoi aggiustare l’impianto di illuminazione. «La prima cosa che insegniamo è a fare attenzione, perché abbiamo a che fare con esseri viventi, e per di più feriti. Alcuni sono anche potenzialmente pericolosi: un’aquila o una volpe possono fare male, quindi è meglio stare attenti». Anche alle emozioni, che possono tradire: un eccesso di entusiasmo può distrarre, e un eccesso di attaccamento può far soffrire. A Vanzago lo sanno e non si stancano di ripeterlo ai volontari, ma sanno anche che è inevitabile quando si ha a che fare con gli animali: «Il nostro obiettivo è curarli per poterli liberare, non dobbiamo instaurare con loro un rapporto che comprometta questo risultato», conclude Viviana Dall’Ora, «non possiamo coccolarli né abituarli alla nostra presenza. Ma sappiamo perfettamente che non è facile: ti sei preso cura di quell’animale, magari hai passato notti sveglio a vedere come stava, è normale che si crei un legame d’affetto. E quando finalmente si aprono le gabbie ti viene da piangere, perché sei felice, ma sai che la sua presenza un po’ ti mancherà».