Il recupero di fresato d’asfalto è aumentato, ma l’Italia è sotto la media europea. Eppure dal riciclo delle pavimentazioni stradali si potrebbero risparmiare almeno 1,2 miliardi di euro l’anno
Il riciclo dell’asfalto è una pratica salutare per l’ambiente e per l’economia. L’Italia ne avrebbe solo da beneficiare da un suo più largo recupero, considerato il fabbisogno per manutenere ogni anno strade e autostrade: la rete stradale nazionale – comunale, provinciale, regionale e statale – è lunga 837.493 km, quella autostradale circa 7mila km.
Nel 2019 si è arrivati al 25% di riciclo delle pavimentazioni stradali, migliorando di 5 punti percentuali rispetto al 2014. Ma si può fare di più, specie se ci si confronta con la media dei principali Paesi europei (60%), per non dire degli Stati Uniti, in cui il 96% del fresato viene recuperato. Già oggi, dal recupero del 25% si ottiene un risparmio in termini di materie prime di circa 300-320 milioni di euro. Dal completo riciclo si otterrebbe un risparmio di 1,2 miliardi di euro, segnala Siteb – Associazione Strade Italiane e Bitumi – che ha svolto un’analisi sul riciclo delle pavimentazioni stradali in Italia confrontandola con i principali Paesi Europei (fonte Eapa – European asphalt pavement association).
Asfalto riciclato, una pratica decisamente green
Il riciclo di asfalto fresato è una pratica che risponde pienamente alle logiche di economia circolare, che incentiva il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi. L’Unione Europea ha adottato un piano d’azione per stimolare la transizione dell’Europa verso la circular economy, convinta nella bontà di ridurre e trasformare in parte l’enorme quantità di rifiuti prodotti ogni anno e che assommano a 2,5 miliardi di tonnellate.
Di tutto questo fa parte anche ciò che viene prodotto dalla rimozione parziale del manto stradale per realizzare una nuova pavimentazione. Solo dal già citato 25% di fresato recuperato, Siteb ha calcolato che il suo riciclo comporta ogni anno il minor impiego di 300mila tonnellate di bitume vergine, derivante dal petrolio, e il recupero di 7,5 milioni di tonnellate di inerti. Il totale recupero delle pavimentazioni stradali rimosse oltre ai 1200 milioni di euro risparmiati sarebbe vantaggioso economicamente ed ecologicamente: infatti, l’associazione ha calcolato che si potrebbero ridurre le emissioni inquinanti equivalenti a quelle generate da tre raffinerie di medie dimensioni e all’inquinamento prodotto dalla circolazione continua di 330mila autocarri sul territorio nazionale.
Fresato d’asfalto, cos’è e come viene recuperato
Il fresato d’asfalto tecnicamente definito come conglomerato bituminoso di recupero, è il prodotto dell’azione di asportazione di una fresa meccanica sulla pavimentazione stradale ammalorata. Questa macchina, mediante un tamburo rotante dentato, “graffia” la superficie a una profondità prestabilita, staccando e frantumando il materiale. «Successivamente il materiale asportato, viene caricato su camion e trasportato al centro di trattamento autorizzato. Il fresato, accompagnato da un formulario di trasporto, ovvero un documento che raccoglie informazioni utili a identificarne provenienza e quantità, viene quindi registrato e scaricato in un area preposta», racconta Stefano Ravaioli, direttore di Siteb.
Al momento della trasformazione da “rifiuto” a “ non rifiuto”, il materiale viene sottoposto a selezione granulometrica e a tre analisi che devono dimostrare la non pericolosità per il successivo riutilizzo: le prime due misurano il contenuto di Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici) e l’eventuale assenza di amianto; la terza è il test di cessione che verifica l’eventuale capacità dei rifiuti di rilasciare sostanze inquinanti. Una volta conclusi i riscontri e rilasciata la conformità al trattamento in atto notorio ad opera del produttore, il materiale cessa di avere la qualifica di rifiuto, e diviene materia prima seconda, e prende il nome di “granulato di conglomerato bituminoso” come precisato dal DM 69/18. «A questo punto può essere destinato a produzione di conglomerato bituminoso a caldo o a freddo o come inerte da utilizzare nelle attività di costruzione stradale. In entrambi i casi, le caratterizzazioni sono regolate da specifiche norme UNI», specifica Ravaioli.
Il DM 69/18 “che prevede l’End of Waste per il conglomerato bituminoso di recupero” è il primo provvedimento ad hoc che determina i vari passaggi per la trasformazione da rifiuto a risorsa: «è un decreto attuativo previsto dal Testo unico ambientale. Tale dispositivo, pur mettendo ordine nel processo di recupero del materiale, «lascia però inalterati i limiti quantitativi delle vecchie autorizzazioni in procedura semplificata – evidenzia il direttore di Siteb – Sono proprio questi limiti il vero problema da risolvere perché i recenti appalti, specie quelli Anas, prevedono il recupero di quantitativi di fresato decisamente superiori quanto a materiale le aziende siano autorizzate a trattare, perciò spesso non sono in grado di rispettare la richiesta».
Recupero di asfalto fresato, il trattamento in Europa e in Italia
In Europa come ci si regola? In Germania il fresato d’asfalto viene considerato il miglior materiale costituente e l’84% di esso viene recuperato; in Francia (dove il 70% dei 6,4 milioni di tonnellate di materiale viene recuperato) c’è il divieto di portarlo in discarica in quanto considerato prodotto primario da riutilizzare nel ciclo produttivo. Nei Paesi Bassi (4,5 milioni di tonnellate e 71% di recupero) esistono impianti in grado di eliminare l’eventuale presenza di catrame nel materiale raccolto e di permettere di recuperare totalmente l’inerte.
«Evidentemente In questi Paesi così virtuosi la normativa sui rifiuti è forse meno complessa rispetto all’Italia. Se un è rifiuto è recuperabile, si trasforma in end of waste e non esistono procedure ordinarie o semplificate per farlo. Aggiungo che nei Paesi del Nord Europa (Germania, Francia, Belgio ecc.), nell’asfalto può essere presente il catrame, derivante dalla distillazione del carbone, che è inquinante e cancerogeno; mentre è assente in quello italiano, dove invece è presente il bitume, derivante dalla distillazione del petrolio e il bitume non è classificato come cancerogeno. Ed è paradossale che proprio in Italia dove c’è la maggior disponibilità di fresato senza catrame, si sia fatto il possibile, a livello normativo, per ostacolarne il recupero».
Il recupero del fresato, oltre a essere una pratica green e circolare è anche economicamente vantaggiosa: «il bitume ha un costo molto elevato: pur contando quantitativamente solo per il 5% nella miscela dell’asfalto, costituita per il 95% da inerti, vale circa il 50% dell’importo dell’appalto per la manutenzione della pavimentazione stradale» evidenzia Ravaioli. Non solo: «tra tutti i rifiuti da costruzione e demolizione è l’unico in grado di poter recuperare anche il potere legante del bitume vecchio che si porta appresso e non solo la massa inerte. Il fresato d’asfalto, è riciclabile più volte al 100% e il suo riutilizzo va incentivato».