Lo “space debris” è un fenomeno in netta crescita: spazzatura e detriti si stanno accumulando nello spazio, provocando rischi di collisioni con satelliti. Per affrontare questo problema si è attivata anche un’azienda italiana
Oltre ai rifiuti sulla Terra, siamo riusciti anche a produrre spazzatura e detriti spaziali. È un problema di portata enorme, tanto che le Nazioni Unite, in un report intitolato Interconnected Disaster Risks, uscito l’anno scorso, ha identificato i detriti spaziali come uno dei punti critici del nostro pianeta, in grado di avere un impatto significativo sulle nostre vite, al pari dello scioglimento dei ghiacci polari o al rischio di collasso della Corrente del Golfo.
Quant’è la spazzatura spaziale?
Il motivo per lanciare l’allarme è fondato: nello spazio si contano quasi 130 milioni di detriti troppo piccoli per essere tracciati, che misurano tra 1 mm e 1 cm e che viaggiano a una velocità superiore a 25mila km/h. A questi si aggiungono gli oggetti inattivi: dei 34.260 tracciati in orbita, solo il 25% circa sono satelliti funzionanti, mentre il resto è spazzatura, in forma di satelliti rotti o di stadi di razzi scartati.
Oltre a un evidente impatto ambientale, c’è un rischio sempre più elevato: quello di una collisione tra satelliti. È un pericolo in progressiva crescita dato l’aumento di satelliti registrato negli ultimi anni e quello previsto. Un’analisi di McKinsey suggerisce che gli investimenti nell’esplorazione spaziale sono elevatissimi nel settore pubblico e privato. Solo alle entità spaziali private, gli investitori nel 2020, gli investitori hanno stanziato circa 9 miliardi di dollari. Almeno 70 Paesi oggi dispongono di agenzie spaziali e molti altri hanno aumentato i propri budget dedicati. Sulla base dei progetti spaziali proposti e sponsorizzati da vari enti privati e governativi, entro il 2030 “potrebbero essere lanciati nello spazio fino a 12mila nuovi satelliti all’anno”.
Il ruolo strategico dei satelliti e i rischi geopolitici e ambientali
Il grosso problema rappresentato dalla spazzatura e dai detriti spaziali assume dimensioni ancora più preoccupanti se si considera il valore dei satelliti in orbita che “sono alla base della nostra vita moderna”, come evidenzia l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Sono utilizzati in molte aree e discipline, tra cui l’agricoltura, la meteorologia, l’energia, la ricerca sul clima, l’osservazione della Terra, le telecomunicazioni, la navigazione e l’esplorazione spaziale umana. Essi “offrono una prospettiva unica, una risorsa per la raccolta di dati scientifici, opportunità commerciali e varie applicazioni e servizi essenziali, che portano a opportunità straordinarie”.
In oltre 60 anni di attività spaziale, più di 6050 lanci hanno portato in orbita circa 56450 oggetti tracciati, di cui circa 28160 rimangono nello spazio, vengono regolarmente tracciati dalla US Space Surveillance Network e mantenuti nel loro catalogo.
A questa situazione già di per sé complicata si aggiunge il fattore geopolitico, che diventerà sempre più forte: lo spazio è divenuta una nuova “terra di conquista. Basti leggere quanto dichiarato dal segretario del Dipartimento dell’Aeronautica statunitense, Frank Kendall, in occasione dello Space Symposium 2023: da quando la Cina ha dichiarato lo spazio un «dominio di guerra» nel 2015, «la sua presenza in orbita è cresciuta di oltre il 300% con più di 700 satelliti ora in orbita». La Repubblica Popolare, sempre stando a quanto affermato da Kendall, «ha sviluppato e testato armi anti-satellite e ha sviluppato armi laser e disturbatori di frequenze per interrompere, degradare e danneggiare i sensori satellitari, i sistemi di comunicazione e di navigazione».
I problemi generati da spazzatura e detriti spaziali
In una cornice così delicata va considerato lo space debris o space junk: l’ESA ricorda che dal 1961 sono stati registrati più di 560 eventi di frammentazione in orbita. Solo sette eventi sono stati associati a collisioni e la maggior parte degli eventi attuali erano esplosioni di veicoli spaziali e stadi superiori. Si prevede tuttavia che in futuro le collisioni diventeranno la fonte principale di detriti spaziali. “Man mano che la popolazione dei detriti cresce, si verificheranno più collisioni”.
Lo scorso febbraio si sono verificati due eventi che hanno attirato l’attenzione diffusa sui rischi posti da spazzatura e detriti spaziali nelle orbite terrestri basse. Il primo è stato il potenziale impatto del defunto satellite di osservazione della Terra dell’Agenzia spaziale europea: il rientro incontrollato dell’ESR-2, con pezzi anche del peso superiore a 50 kg destinati a raggiungere il suolo. Nel secondo caso, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e i monitoraggi dei detriti commerciali hanno monitorato un incidente fortunatamente sfiorato tra due veicoli spaziali non manovrabili: il veicolo spaziale TIMED della NASA e il satellite russo Cosmos 2221. Se ci fosse stata una collisione, essa avrebbe potuto provocare un aumento dei detriti fino al 50%.
Già nel 2009, una collisione tra un satellite per le comunicazioni attivo e uno a fine vita ha creato migliaia di detriti che ancora oggi orbitano attorno alla Terra. Questi detriti possono avere un impatto su altri oggetti, come la Stazione Spaziale Internazionale, che effettua manovre una volta all’anno per evitare tali detriti. I satelliti possono essere avvisati di collisioni imminenti; infatti, il satellite europeo Sentinel-2 ha registrato più di ottomila allarmi tra il 2015 e il 2017.
Rimedi e soluzioni: un’azienda italiana lavora alla space circular economy
In questo scenario, si rende necessario ridurre quanto più possibile il quantitativo di spazzatura e detriti spaziali. ESA, a tale proposito, ha presentato la Zero Debris Charter, con cui si ambisce ad azzerare la generazione di detriti spaziali entro il 2030 da parte della stessa Agenzia e dei Paesi membri. Si tratta della prima carta al mondo, divenuta operativa lo scorso anno.
Un veicolo in grado di catturare i detriti spaziali è in fase di sviluppo nell’ambito della prima missione al mondo per rimuovere i detriti dall’orbita terrestre. L’Agenzia Spaziale Europea ha commissionato nel 2019 i lavori per l’avvio di ClearSpace-1: sarà la prima missione spaziale a rimuovere un detrito dall’orbita. Il suo lancio è previsto per il 2025 e la missione è stata appaltata come contratto di servizio con un consorzio commerciale guidato dalla startup svizzera ClearSpace, spin-off fondato da un team esperto di ricercatori sui detriti spaziali con sede presso l’istituto di ricerca Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne.
In Italia, l’azienda D-Orbit sta portando avanti un progetto ambizioso: costruire un’infrastruttura logistica spaziale che non solo permetterà ai fornitori di servizi di semplificare il lancio dei satelliti, il trasporto in orbita, la manutenzione e il rifornimento in orbita, ma anche lo smaltimento a fine missione. La giovane realtà (è nata nel 2011 come startup) punta molto sulla sostenibilità: è la prima azienda spaziale certificata B-Corp al mondo e crede fortemente al concetto di economia circolare spaziale. Ciò significa per l’azienda l’opportunità di creare un’economia sostenibile nello spazio, riducendo i rifiuti, riutilizzando le risorse e riciclando i materiali. “Ciò comporta la progettazione di missioni spaziali, veicoli spaziali e habitat spaziali con l’obiettivo di realizzare un sistema a circuito chiuso in cui i prodotti di scarto vengono riutilizzati o riciclati per creare nuovi prodotti”.
In futuro – evidenzia la stessa D-Orbit – i satelliti saranno costruiti e fabbricati nello spazio, la materia prima proverrà dall’estrazione degli asteroidi e dal riciclaggio delle risorse esistenti nello spazio; quando raggiungeremo quel punto, saremo molto vicini a un’economia circolare spaziale.
Per questo ha inventato un dispositivo per spostare un satellite in una parte inutilizzata dell’orbita o addirittura riportarlo sulla Terra in modo controllato. Il sistema consente di ridurre il costo totale della missione del 10%, creando allo stesso tempo la space circular economy. L’idea è valsa al suo Ceo e co-fondatore, Luca Rossettini, la selezione tra i finalisti dello European Inventor Award 2023, che negli anni è stato riconosciuto a personalità eccellenti, compresi premi Nobel.
Andrea Ballocchi