Stewart Brand, ex veterano dell'ambientalismo americano, è diventato un tenace sostenitore dell'atomo e degli Ogm. Perchè, spiega nel suo nuovo libro, abbiamo un pericolo maggiore: il global warming. Che possiamo affrontare solo con un efficace pragmatismo e la fiducia nella scienza
Definireste “ambientalista” una persona favorevole al nucleare, alle biotecnologie e agli organismi geneticamente modificati?
Probabilmente no. Eppure è così che viene definito Stewart Brand, aggiungendo precauzionalmente l’aggettivo “eretico”. Classe 1938, laureato in biologia, Brand è un veterano del movimento ambientalista americano, che però ha sempre frequentato e influenzato a modo suo, concentrato più sulla conoscenza e sulle nuove tecnologie che sull’emotività e la propensione al catastrofismo. Dagli anni ’60 a oggi ha pubblicato riviste, ha promosso comunità virtuali che hanno anticipato Internet e fondato diverse istituzioni, una delle quali è Long Now Foundation, che cerca di stimolare il pensiero a lungo termine e che sta simbolicamente cercando di costruire un orologio che funzioni 10 mila anni senza nessun intervento umano. Brand di simboli se ne intende: nel 1966 iniziò una campagna pubblica per spingere la Nasa a pubblicare le controverse immagini della Terra vista dallo spazio, convinto che avrebbero cambiato la percezione del nostro pianeta.
Oggi lo scienziato americano ha scritto un libro, (pubblicato da Codice Edizioni) proseguendo nel suo percorso dell’ambientalismo poco ortodosso, e se possibile spingendosi oltre. Il titolo è programmatico e sgombra subito il campo da ogni ideologia: Una cura per la Terra – Manifesto di un ecopragmatista. «Le ideologie sono utili per semplificare cose complesse, per raccontarsi delle favole», racconta Brand, in Italia per promuovere il suo saggio, «ma il mondo è difficile, sta cambiando rapidamente ed è a rischio: il pragmatismo è l’unica via d’uscita». I temi principali che vengono affrontati nel libro sono quelli del nucleare, dell’esplosione demografica e dell’urbanizzazione, degli Ogm e delle biotecnologie. E naturalmente del global warming, che sta per trasformare profondamente la nostra vita: per Brand è possibile affrontarlo senza farci travolgere, solo lasciandosi alle spalle trent’anni di dibattito pubblico compromesso dalle ideologie, troppo poco informato, e dicendo le cose come stanno senza paura di essere ruvidi, scomodi, eretici. Con un’ottimistica e completa fiducia nella scienza e nel progresso.
Sul nucleare Stewart Brand, per esempio, fa inversione a U anche rispetto alle sue precedenti convinzioni: «Fino agli anni ’90 ero contrario. Ma a causa del cambiamento climatico ho nuovamente approfondito la questione, per scoprire che sotto molti aspetti ero stato fuorviato», spiega lo scienziato, «si tratta in realtà di un’energia verde che non produce anidride carbonica. Quello delle scorie non è un problema, perché oggi già riusciamo a renderle innocue nel breve periodo, per esempio seppellendole in depositi rocciosi del tutto sicuri, mentre la tecnologia progredisce e in futro potremo decidere cosa farne. Le centrali di quarta generazione, già sperimentate in Francia e molto studiate anche negli Usa, useranno le scorie come combustibile, quindi il processo sarà ancora più semplice. Il vero problema, invece, è l’energia prodotta dal carbone, è quella che va eliminata. Le centrali a carbone, infatti, riempiono l’atmosfera di CO2, dannosissimo per riscaldamento del pianeta ed emettono cento volte più radiazioni di un impianto nucleare». Il pragmatismo di Brand, che tanti considerano eccessivamente riduttivo, è mosso da una considerazione: abbiamo davanti un cambiamento climatico da arginare, e con un tale problema non possiamo permetterci di andare troppo per il sottile. Un pensiero che negli Usa sembra trovare consenso: «Io guardo ai giovani, e soprattutto ai giovani ambientalisti», prosegue Stewart Brand, «che in America non temono il nucleare, ma il global warming. E così gli scienziati: i più preoccupati per il futuro sono quelli che conoscono meglio il global warming, mentre non hanno paura del nucleare».
Lo stesso atteggiamento strettamente razionale, «abbiamo un obiettivo, conosciamo alcuni dati, raggiungiamolo nel modo più efficace possibile» viene applicato alle biotecnologie e agli Ogm. Ricordando che è troppo tardi per fermarli, perché sono già ovunque e quindi è inutile sprecare tempo a contrastarli, Brand invita ad andare avanti su questo terreno, per cercare di migliorarli. Facendo un’analogia con le comunicazioni e il telefono cellulare: «All’inizio tanti lo rifiutavano, poi l’onda è diventata irreversibile», spiega.
«Allo stesso modo sarà per gli Ogm, che entro un decennio arriveranno anche nel nostro orto di casa. Qui in Europa siete scettici, ma tutto il mondo già li mangia abitualmente. In Africa sono fondamentali per combattere la denutrizione. Sono sicuro che in futuro saranno più nutrienti, avranno un sapore migliore, e saranno anche curativi».
Grande fiducia nella scienza e nella conoscenza, poco spazio ad emozioni e immagini che smuovono cuori e coscienze delle persone, una filosofia che dice «abbiamo enormi possibilità e diversi mezzi, usiamoli»: è ambientalismo o no? Sicuramente la domanda non interessa Stewart Brand, che preferisce i fatti e i risultati alle ideologie.