Secondo il rapporto dell'Ispra sul “Dissesto Idrogeologico in Italia” sono 7145 i Comuni a rischio per frane o alluvioni
Sono più di sette milioni gli italiani che vivono in aree considerate a rischio idrogeologico e dunque più esposte rispetto al resto del Paese a frane e alluvioni. In cima a questa poco felice graduatoria ci sono i cittadini residenti in Campania, Toscana, Liguria ed Emilia Romagna (frane), cui si aggiungono gli abitanti di Veneto e Lombardia (alluvioni). È questa l’istantanea che emerge dal rapporto “Dissesto Idrogeologico in Italia”, redatto dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra).
A RISCHIO CASE, IMPRESE E MONUMENTI – Dal documento si evince che in Italia sono 7145 i Comuni a rischio per frane o alluvioni. Sette le regioni con la totalità dei centri a rischio idrogeologico: Valle D’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata. A queste si aggiungono la Calabria, la Provincia di Trento, l’Abruzzo, il Piemonte, la Sicilia, la Campania e la Puglia con una percentuale di comuni interessati maggiore del novanta per cento. Un’emergenza che riguarda in primis le abitazioni, ma pure le imprese e i loro addetti (ventimila quelli considerati a rischio). Esposte, invece, al pericolo inondazione nello scenario medio, 576.535 unità,per un totale di oltre due milioni di addetti. Anche in questo caso il triste primato spetta alle regioni del centro-nord: Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Liguria e Lombardia. Il discorso riguarda pure i beni culturali. Tra i Comuni, spiccano le città d’arte di Venezia, Ferrara, Firenze, Ravenna e Pisa.
GIA’ STANZIATI 750 MILIONI DI EURO PER GLI INTERVENTI URGENTI – Oltre che alle caratteristiche geologiche, morfologiche e idrografiche del territorio, le attuali condizioni di rischio idrogeologico in Italia sono legate al forte incremento, delle aree urbanizzate, industriali e delle infrastrutture lineari di comunicazione registrato a partire dalla metà del secolo scorso. Un processo figlio del boom del secondo dopoguerra che però è spesso avvenuto «in assenza di una corretta pianificazione territoriale e con percentuali di abusivismo che hanno raggiunto anche il sessanta per cento nelle regioni dell’Italia meridionale», si legge nel rapporto. Una ragione in più per spingere dunque oggi sul tema della prevenzione, «l’unico percorso capace di ridurre il rischio che in futuro altre vittime e altri danni si aggiungano al già smisurato elenco di tragedie del nostro passato», afferma Mauro Grassi, responsabile della struttura di missione #italiasicura voluta dal Governo Renzi contro il dissesto idrogeologico. La campagna prevede il finanziamento (cifra già stanziata) di oltre 750 milioni di euro i 33 più importanti cantieri per la sicurezza diffusi nelle città italiane. Oltre agli interventi, già in corso, sul Fereggiano a Genova e sul Seveso a Milano, si prevede l’intervento sul litorale di Cesenatico e sul Lambro a Milano. A seguire sul Bisagno a Genova, su alcuni lotti del Lusore a Venezia e dell’Astico per Vicenza.
ANCHE IL CLIMA CHE CAMBIA ALLA BASE DEI DISSESTI – Ad accentuare i rischi sono anche le variazioni climatiche a cui siamo esposti, da alcuni anni a questa parte. Secondo l’ultimo rapporto sul rischio climatico diffuso da Legambiente in Italia sono state 204 le emergenze conteggiate (tra allagamenti, frane ed esondazioni) dal 2010. (101 i Comuni sparsi lungo la Penisola colpiti da fenomeni atmosferici estremi). Spulciando tra le pagine del rapporto, emergono altri dati preoccupanti. Tra il 1944 ed il 2012, l’Italia ha speso 61,5 miliardi di euro solo per i danni provocati dagli eventi estremi succedutisi sul territorio. Ecco perché Legambiente ha chiesto ai Comuni di «mettere in sicurezza le aree più a rischio attraverso interventi innovativi, fermando il consumo di suolo e riqualificando gli spazi urbani, le aree verdi e gli edifici per aumentare la resilienza nei confronti di piogge e ondate di calore».
GEOLOGI ORMAI MERCE RARA – A complicare i piani è anche la costante riduzione del numero di geologi. Secondo Maria Teresa Fagioli, presidente nazionale dell’Ordine dei Geologi, «la geologia accademica italiana è a serio rischio di estinzione. Di 29 Dipartimenti ne sono rimasti soltanto otto e il numero dei docenti che devono formare le nuove leve negli ultimi quattro anni si è ridotto del quindici per cento». Guarda caso lo stesso periodo in cui è cresciuto il numero dei dissesti che hanno coinvolto il territorio nazionale. «Tutti sono d’accordo nel sostenere che servono geologi e per il geologo sono, o dovrebbero essere, cresciute le occasioni di lavoro. Al contrario, con un atteggiamento schizofrenico, continuano a essere snobbati o sottoutilizzati».
Twitter @fabioditodaro