Sta facendo discutere l'applicazione dal 1 gennaio 2018 della legge che introduce l'obbligo dei sacchetti biodegradabili.
Se ne sta parlando dall’inizio dell’anno, ma buona parte degli italiani scopriranno la novità con i propri occhi a partire da oggi: col rientro in città e alla vita di tutti i giorni. Il nodo del contendere dell’inizio del 2018 è stato rappresentato dai sacchetti biodegradabili, obbligatori dal primo gennaio per l’acquisto di prodotti sfusi come la frutta e la verdura. La loro utilità non è in discussione, vista l’emergenza ambientale provocata dall’inquinamento da plastica. A far discutere è però la scelta di farli pagare soltanto ai consumatori. Cerchiamo allora di fare chiarezza su questa rivoluzione decisa ad agosto, ma rimasta sotto traccia fino alla sua effettiva applicazione, datata uno gennaio.
UNA SVOLTA NECESSARIA PER L’AMBIENTE – Le tre caratteristiche sono queste: i sacchetti devono essere di plastica biodegradabile, devono essere monouso, devono essere a pagamento. L’obbligo è previsto dalla legge 123/2017, emanata anche per recepire una direttiva dell’Unione Europea in tema di materiali di imballaggio. La normativa prevede che – a partire dal primo gennaio 2018 – tutti i sacchetti utilizzati come imballaggio primario per gli alimenti sfusi, dalla verdura ai prodotti ittici, debbano essere biodegradabili e compostabili. La contromisura si pone come obiettivo la drastica riduzione dei sacchetti di plastica leggera, per dare una boccata di ossigeno all’ambiente e, in particolare, al mare. Da una settimana dunque tutti i sacchetti utilizzati per l’acquisto di alimenti sfusi nei supermercati – frutta, verdura, prodotti da forno, salumi, formaggi, carne e pesce – sono venduti in sacchetti biodegradabili e compostabili, prodotti con materie prime rinnovabili in proporzione crescente negli anni: dal 40 per cento previsto per il 2018 al 60 per cento previsto per il 2021. La norma si applica esclusivamente alle borse (non i foglietti trasparenti che il salumiere deposita sulle fette di prosciutto), di plastica (non carta oleata), a parete sottilissima (non la plastica grossa della mozzarella né la plastica forata del pane), usata fine di igiene (non i sacchetti per trasportare il prodotto) sui soli alimenti (non farmaci o altri beni) sfusi (non i prodotti confezionati).
Sì AI SACCHETTI MONOUSO PORTATI DA CASA – Non è possibile riutilizzare i sacchetti per la spesa di frutta e verdura, perché sussiste un rischio di eventuali contaminazioni. Ma «non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti», afferma il segretario generale del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco. «Il riutilizzo dei sacchetti determinerebbe infatti il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni problematiche». Il titolare dell’esercizio commerciale ha la «facoltà di verificare l’idoneità dei sacchetti monouso introdotti». Ma tra il dire e il dire c’è di mezzo la quotidianità, che renderà pressoché impossibile assicurare la presenza fissa di un dipendente all’ingresso dei punti vendita di super e ipermercati a controllare l’origine dei sacchetti.
IL NODO DEL PREZZO – Il prezzo di ogni shopper ha un costo variabile: da uno a dieci centesimi, a seconda del punto vendita. È su questo punto che s’è innescata la polemica: per molti è un costo spropositato, anche se non si tiene conto della possibilità di riutilizzarli per la raccolta dei rifiuti umidi. Un negozio (non le catene di grandi
distribuzione, che hanno dimensioni d’acquisto diverse) paga i sacchettini piccoli (tipo farmacia) in genere tra 1,5 e 2 centesimi al pezzo più Iva, e i sacchetti più grandi (tipo spesa) in genere tra 4 e 5 centesimi più Iva. Tra i 4,17 euro e i 12,51, considerando un costo minimo di 0,01 euro e uno massimo di 0,03 per busta. E’ quanto spenderanno le famiglie italiane in un anno per i sacchetti biodegradabili e compostabili per il primo imballo alimentare, introdotti con la legge 123/2017 entrata in vigore il 1 gennaio 2018, secondo Assobioplastiche che ha effettuato, attraverso il proprio Osservatorio, una prima ricognizione di mercato sui prezzi dei sacchetti nella grande distribuzione. Stando a quanto riferito in una circolare del Ministero della Salute, «le borse di plastica di qualsiasi tipo non possono essere distribuite a titolo gratuito dai supermercati e il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino». Il vantaggio di questi sacchetti sta anche nel fatto che si deteriorano in tempi molto più rapidi (scompaiono in circa tre mesi) rispetto a quelli tradizionali, senza accumuli nelle acque e senza costituire un rischio per le specie animali. Una cosa certa è che il mercato si prepara a una piccola rivoluzione, ma è anche vero che non possono essere solo i consumatori a pagarne il prezzo.
Twitter @fabioditodaro