In uscita il libro "Io, morto per dovere" in cui è raccontata la storia vera del poliziotto che per primo ha indagato sul traffico di rifiuti tossici
«Beppe Fiorello è stato un Roberto Mancini credibile, onesto e appassionato nella fiction di Rai1 “Io non mi arrendo”. Monika è stata molto brava ad affidare a un bravo attore il ritratto televisivo di suo marito, ma ovviamente per un prodotto presentato in televisione è normale prendersi qualche licenza poetica». Di poetico, invece, nella vita di Roberto Mancini c’è davvero poco, salvo l’incontro con la donna poi diventata sua moglie. Al contrario c’è molta coerenza nel voler cambiare il sistema dal di dentro. Ce lo racconta Luca Ferrari, giornalista, documentarista e fotografo, che con Nello Trocchia, altro giornalista e scrittore (attualmente sotto vigilanza dei Carabinieri per le minacce subìte dalla camorra dopo alcune sue inchieste), è l’autore di “Io, morto per dovere” (Chiarelettere, 15 euro). Il libro, scritto a sei mani con Monika Dobrowolska Mancini, racconta la storia vera di Roberto Mancini, poliziotto morto a 54 anni il 30 aprile 2014 a causa di un linfoma non-Hodgkin del quale si è ammalato dopo aver indagato per anni sui rifiuti tossici della Terra dei fuochi su e aver collaborato successivamente con la Commissione Rifiuti della Camera dei deputati. «La fiction, però – avverte Ferrari – è completamente autonoma rispetto al libro che è frutto di una mia conoscenza personale con Roberto che avevo conosciuto durante una mia inchiesta sulla Terra dei fuochi pubblicata dall’Espresso nel 2013».
CHI ERA ROBERTO MANCINI – È stato il primo poliziotto a indagare sulla Terra dei fuochi, a ipotizzare un collegamento tra politici, funzionari, faccendieri e i clan della camorra. Fu lui a collaborare con Legambiente ai tempi dei primi report sull’inquinamento di quei territori. Ma la sua prima informativa sul traffico di rifiuti illegali in Campania datata 1996 restò per anni in un cassetto. «Se fosse stata presa in considerazione, forse non avremmo avuto Gomorra», è stata nel 2013 la confessione del poliziotto a Luca Ferrari. Soltanto molti anni dopo, nel 2011, un pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia la trovò e chiese a Mancini una seconda informativa basata sulle precedenti indagini. «A quel punto Mancini riprende in mano le carte, riascolta ore di intercettazioni, va a testimoniare con la sua squadra, continuando a lavorare all’indagine che non ha mai mollato anche negli ultimi mesi di vita quando era ricoverato in ospedale per l’autotrapianto», racconta Ferrari. «Tutto comincia da un testo che Roberto stesso aveva cominciato a scrivere pochi mesi prima del suo ultimi ricovero – spiega Ferrari – e dalle venti pagine di appunti della seconda informativa che ha lasciato in eredità alla moglie». Ed è con la moglie e con Nello Trocchia, uno dei massimi esperti della Terra dei fuochi, che Ferrari ha realizzato il ritratto di un uomo che è stato poliziotto, marito e padre. E non solo. «La nostra non è un’inchiesta, abbiamo voluto che emergesse anche l’uomo, così abbiamo raccolto interviste e testimonianze di chi lo conosceva e di chi ha lavorato con lui per raccontare, senza retorica, la sua vita privata e lavorativa senza retorica. Il racconto parte dagli anni del liceo quando era un comunista convinto dei collettivi studenteschi che, forte della sua ideologia marxista, scendeva in piazza a manifestare. A cambiare la sua prospettiva fu il rapimento, l’eccidio della scorta e poi l’assassinio di Moro – continua Ferrari -. A quel punto, stupendo tutti, decide di arruolarsi in polizia per cambiare il sistema dall’interno. Ciò non toglie che continuò a entrare per sempre in ufficio con il quotidiano comunista in mano».
I FUOCHI NON ARDONO SOLO IN CAMPANIA – Il lavoro di Roberto Mancini sui reati ambientali, che gli è costato la vita perché in quei rifiuti tossici ci ha messo le mani (e non è un riferimento metaforico) scavando in prima persona quando è stato necessario, non si è fermato alla Campania, ma è continuato con la Commissione ambiente della Camera. «Anche se nel libro ci siamo concentrati sul processo attualmente in corso che riguarda la Terra dei fuochi – conclude Ferrari -, Roberto mi ha sempre parlato genericamente di tutto il Sud come discarica di rifiuti tossici e radioattivi provenienti dal nord». Per la cronaca Roberto Mancini è stato riconosciuto come “vittima del dovere” e gli è stata assegnata una medaglia d’argento alla memoria soltanto dopo che una petizione lanciata su Change.org ha raccolto 75.000 firme.