Vi siente mai chiesti che fine farà il vostro computer quando smetterete di utilizzarlo? Nessuna brutta fine, se arriverà negli stabilimenti di "Re Tech Life". Una cooperativa lombarda che recupera e rigenera i pc, donandoli a enti che ne hanno bisogno. E che utilizza per questo lavoro dipendenti speciali: detenuti in cerca di riscatto. Una buona idea dove tutti guadagnano, ambiente compreso
Tutti hanno diritto a una seconda possibilità: uomini e computer. Non è il messaggio di un film di fantascienza ambientato in un futuro dominato dalle intelligenze artificiali, ma la realtà di una cooperativa solidale che opera alle porte di Milano e che, dal 2006 a oggi, ha reinserito nel mondo del lavoro circa 60 detenuti, rimettendo a nuovo decine di migliaia di apparecchiature informatiche. La cooperativa si chiama Re Tech Life, è una Onlus (associazione senza scopo di lucro, www.retechlife.com) e la sua attività consiste nel raccogliere computer considerati obsoleti, rigenerarli e donarli a enti che ne hanno bisogno o, quando non sia proprio possibile, recuperare almento componenti preziosi. E per farlo utilizza detenuti. Una realtà unica di integrazione tra impresa sociale e impegno ambientale che il direttore generale, Alberto Biella, racconta così: «ridiamo valore a ciò che spesso viene considerato un rifiuto. Ma non ci siamo limitati al solo aspetto ambientale: abbiamo cercato di dare un significato più ampio alla creazione di valore, dando nuove opportunità a persone in difficoltà e costruendo un modello culturale d’impresa, in equilibrio tra risultati economici e benessere di chi vi lavora».
A Re Tech Life oggi sono impiegati dodici dipendenti, più alcuni collaboratori e i volontari. Dei dodici dipendenti, otto sono detenuti. Hanno sostenuto un corso di formazione teorico e pratico di circa 100 ore, acquisendo nozioni su elettronica, componentisca dei computer e software. Dal 2006 nella cooperativa sono transitati quasi in 60: il turnover è fondamentale, perché l’obiettivo è quello di aiutare quante più persone possibili, dando una prima spinta verso il reinserimento nella società. «Alcuni rimangono anche per lunghi periodi, spiega Biella, «ma il nostro scopo è formarne il più possibile perché poi possano impiegarsi altrove. Quando arrivano da noi non sono quasi capaci neanche di accendere la luce, perchè per anni c’è stato qualcun altro che lo ha fatto per loro… noi gli diamo una formazione tecnica e in più cerchiamo di fornirgli un minimo di assistenza per la vita pratica, visto che ne sono stati lontani per diversi anni. Uscire dal carcere, infatti, è davvero dura», conclude il direttore. I risultati però si vedono: contro tassi di recidiva (cioè di ritorno in carcere) di circa il 60 percento in Italia, e superiori al 10 percento tra chi ha frequentato percorsi di reinserimento, solo due detenuti su sessanta di Re Tech Life sono tornati dietro le sbarre. Meno del 5 percento. Un successo che ha spinto la cooperativa a dare lavoro anche ad altre categorie, ad esempio i malati psichici.
Questo per quanto riguarda gli uomini. Ma le macchine? Sono più di 180mila quelle rinnovate dal 2006 a oggi. Computer e altre apparecchiature elettroniche che avrebbero potuto diventare semplici rifiuti e terminare il loro ciclo di vita con un alto impatto ambientale. Il modello produttivo costruito dalla coop, che ha sede a Usmate Velate (provincia di Monza e Brianza), prevede invece che le grandi aziende che rinnovano il proprio parco elettronico conferiscano quello vecchio allo stabilimento Re Tech. I tecnici lo prendono in consegna gratuitamente, lo puliscono, lo testano, eliminano i dati. Se può essere reimpiegato integralmente viene donato a scuole, associazioni e enti no profit che ne hanno bisogno, altrimenti i singoli componenti vengono destinati a un mercato dell’usato grazie al quale la cooperativa si sostiene economicamente. Se invece l’apparecchio non è reimpiegabile, viene correttamente smantellato e avviato al riciclaggio. Un’opzione che è davvero l’ultima praticabile, poiché si cerca quanto più possibile il “riutilizzo”, conforme alle direttive europee. Re Tech Life riesce a reimpiegare oltre il 50 percento degli apparecchi che ritira, tutto a vantaggio dell’ambiente e delle centinaia di enti che entrano in possesso di hardware perfettamente funzionanti. E di ciò che invece non può che essere riciclato, viene fatta una separazione manuale che dà percentuali altissime e che punta al 96 percento.
Il processo produttivo di Re Tech Life porta dunque vantaggi a tutti, e sarebbe auspicabile che venisse adottato da molte altre realtà. Infatti, il problema dei rifiuti elettronici è destinato a diventare sempre più grave nella nostra società super tecnologica. Computer, cellulari, tv, elettrodomestici con cicli di vita sempre più brevi e che diventeranno vecchi sempre più rapidamente. Sul blog specializzato Laptop Burns si legge che “stiamo creando una bomba a orologeria tossica con oltre 20 miliardi di apparecchi scartati“. Un rapporto speciale di Computer Aid International, ONG britannica che raccoglie i pc dismessi dalle aziende, sostiene che riutilizzare computer ancora in buono stato fa risparmiare 20 volte più energia rispetto al riciclo. Infine Gartner, leader mondiale tra gli istituti di ricerca specializzati in information technology, prevede che solo quest’anno verranno rimpiazzati 180 milioni di pc, un quinto dei quali finirà nell’ambiente senza nessun riguardo per il contenuto potenzialmente tossico. Servirebbero, insomma, tante Re Tech Life sparse per il Pianeta. Per questo la coop progetta di creare filiali in tutta Italia che aumentino l’efficienza della raccolta e riducano l’impatto dei trasporti.