Secondo alcuni studi internazionali il riscaldamento delle acque costringerebbe i pesci a spostarsi palla ricerca di acque con più ossigeno per la loro sopravvivenza.
Così come accade talvolta agli uomini, anche ai pesci toccherà prima o poi fare le valigie. Questione di vita o di morte. L’aumento delle temperature che da anni si registra a tutte le latitudini sta infatti mettendo a dura prova il loro sostentamento. È quanto afferma un gruppo di ricercatori dell’Università della Columbia Britannica (Canada), secondo cui a causa del riscaldamento globale i pesci sono destinati a vedere ridursi la loro taglia anche di un terzo: a meno che il termometro non faccia registrare una pronta discesa dei livelli di mercurio. Uno scenario che non chiama in causa soltanto la fauna marina. Dal momento che l’ipotesi tratteggiata potrebbe concretizzarsi a partire dal 2050, quando sul Pianeta dovremmo essere almeno in nove miliardi, il rischio chiama in causa anche l’uomo, che potrebbe avere molta meno facilità nel reperire prodotti ittici da portare a tavola. Un pensiero, dunque, anche per chi è meno sensibile alla causa ecologista. In ballo c’è anche la nostra salvaguardia.
I pesci hanno poco ossigeno a causa del riscaldamento globale
La notizia giunge da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica «Global Chance Biology». A condurla lo stesso gruppo di scienziati che, già nel 2012, aveva tratteggiato uno scenario analogo. Allora, come dimostrato da uno studio pubblicato sulle colonne di «Nature Climate Change», i ricercatori dimostrarono che la riduzione delle dimensioni dei pesci dipende essenzialmente da due fattori: la difficoltà di crescere in acque povere di ossigeno e un cambiamento nelle rotte migratorie.
«I pesci negli oceani caldi sviluppano un metabolismo più veloce e hanno quindi bisogno di più ossigeno», affermava cinque anni addietro William Cheung, ricercatore all’Istituto di ricerca sugli oceani e la pesca dell’ateneo di Vancouver, che nell’ultimo studio è riuscito a dimostrare come in realtà oltre una certa soglia, in carenza d’ossigeno, un pesce non riesca a crescere. Il maggiore consumo di ossigeno porta gli animali a indebolirsi e a risultare di conseguenza più vulnerabili alle malattie. A ciò occorre aggiungere che, con l’arrivo di nuove specie animali anche nel Mediterraneo, dove peraltro il riscaldamento delle acque è al momento un problema più urgente rispetto agli oceani, il rischio è quello di veder prevalere specie più abituate ad acque con temperature più elevate. Gli effetti di questo fenomeno – che va ad aggiungersi all’acidificazione degli oceani data dall’aumento dei livelli di anidride carbonica e dalla sovrappesca – saranno più evidenti nelle regioni tropicali e comunque in superficie. Il riscaldamento frena infatti il rimescolamento delle acque, che negli strati inferiori rimangono più fredde e ricche di nutrienti.
A rischio anche la riproduzione dei pesci
Ma c’è anche un’altra ragione per cui occorrerebbe porre un freno al riscaldamento delle acque oceaniche. Anche la riproduzione dei pesci, infatti, rischia di essere minata dall’aumento delle temperature: con spore, uova e prole che dovranno lottare per abituarsi a temperature per loro non ottimali. Tutte queste conseguenze rappresentano il prodromo della perdita di biodiversità, con il progressivo diradamento di specie ittiche alla base della catena alimentare. Di conseguenza i pesci che si collocano a un livello intermedio sono costretti a spostarsi per sopravvivere. Questo fenomeno, con branchi che migrano verso i due Poli, influisce sulla disponibilità di risorse ittiche. E, di conseguenza, sulle comunità di pescatori che vivono nelle regioni interessate dallo spopolamento. Senza dimenticare che anche un tonno nelle acque dei circoli polari rappresenterebbe una specie aliena: con tutto ciò che ne consegue, in termini di lotta all’accaparramento delle risorse disponibili.
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