La pesca è sostenibile quando ha un occhio di riguardo per il futuro dell’habitat marino e degli organismi che lo abitano: vediamo meglio di cosa si tratta e qual è il ruolo di noi consumatori
Se vogliamo salvare gli oceani, la pesca deve cambiare. Non è una velleità astratta, ma un presupposto indispensabile. Le Nazioni Unite fanno sapere che oggi gli stock ittici sono per il 30% sovrasfruttati, cioè catturati dall’uomo a un ritmo talmente alto da non dare loro tempo di rigenerarsi. Un dato allarmante che è figlio – tra le altre cose – dell’ocean grabbing, la colonizzazione dei mari ai danni dei piccoli pescatori. E del dilagare della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata che, da sola, gestisce fino a 26 milioni di tonnellate di pesce all’anno. È inevitabile che l’attenzione si focalizzi sui problemi, ma esistono anche delle alternative: prima tra tutte, la pesca sostenibile nelle sue varie declinazioni.
Il significato di pesca sostenibile
Marine Stewardship Council (MSC), la principale organizzazione no profit che si occupa di certificare la sostenibilità della pesca, propone una definizione che si basa su tre pilastri. Indipendentemente dalle precise tecniche e aree geografiche scelte, la pesca può essere definita sostenibile se:
- lascia in mare abbastanza pesci per far sì che la popolazione marina si riesca a riprodurre e che la stessa attività di pesca possa continuare nel tempo, rispettando le raccomandazioni della scienza;
- è praticata in modo tale da ridurre al minimo il suo impatto sull’ecosistema, permettendo alla flora e alla fauna marina di prosperare (non a caso, si parla anche di green fishing);
- è gestita responsabilmente nel rispetto delle leggi vigenti e in modo da potersi adattare ai cambiamenti.
I metodi di pesca sostenibile e quelli vietati
Sempre per garantire la sussistenza della pesca nel rispetto dell’ambiente, l’Unione europea ha vietato le tecniche più distruttive, cioè quelle che prevedono “l’uso di esplosivi, veleno, narcotici, corrente elettrica, martelli pneumatici, altri attrezzi a percussione o dispositivi trainati per la raccolta del corallo rosso o altri tipi di corallo e specie affini nonché determinati fucili subacquei”.
In aggiunta, vieta di pescare le specie sensibili e di usare determinati attrezzi all’interno di habitat vulnerabili, impone una taglia minima per le specie che possono essere pescate e/o sbarcate, limita l’uso di alcuni attrezzi e reti, introduce precauzioni volte a ridurre i rigetti (cioè quegli organismi marini che finiscono nelle reti ma poi vengono ributtati in mare).
Se dunque esistono dei metodi che sono intrinsecamente dannosi, altri invece possono avere un impatto differente a seconda delle circostanze. È il caso della pesca con reti a circuizione, cioè quella che circonda i pesci in mare aperto (tra cui sardine, calamari e orate) con una parete di rete; dopodiché, si tira una cima e gli animali restano chiusi all’interno. Di per sé, è una tecnica di pesca ecologica che non tocca i fondali.
Anche le catture accidentali sono rarissime, a meno che non si utilizzino i dispositivi di aggregazione dei pesci (FAD), oggetti galleggianti che fanno ombra per attirare più animali. Questi ultimi non sono formalmente vietati ma devono essere gestiti in modo molto oculato per evitare di catturare involontariamente anche delfini, tartarughe, squali e specie inadatte a essere commercializzate. Questo è il motivo per cui alcuni marchi preferiscono specificare che il tonno è “FAD free”.
In linea teorica, la pesca più sostenibile è quella condotta su piccola scala, con reti (per esempio il tramaglio, le reti a imbrocco o le reti giapponesi) o ami. Ma ciò non significa che sia una buona idea acquistare pesce per canali non ufficiali, fidandosi del fatto che arrivi dai pescherecci della zona: la prima garanzia di un prodotto ittico sostenibile è la tracciabilità, peraltro obbligatoria per legge.
Un vademecum per comprare pesce in modo responsabile
Ma come fare per acquistare pesce senza contribuire involontariamente al saccheggio dei mari? Innanzitutto, leggere con attenzione l’etichetta. Per il pesce fresco esposto sul bancone della pescheria, per esempio, le informazioni obbligatorie sono:
- nome della specie, accompagnato dalla denominazione scientifica;
- metodo di produzione;
- stato fisico;
- zona di cattura;
- tipologia di attrezzi da pesca impiegati;
- eventuali ingredienti presenti;
- prezzo all’etto o al kg.
Un’altra buona norma è quella di scegliere le specie da acquistare seguendo il ciclo delle stagioni, proprio come si fa con frutta e verdura: a questo link c’è un utile calendario.
Le certificazioni della pesca sostenibile
Soprattutto quando si acquista pesce che viene da lontano, è un’ottima idea verificare la presenza di certificazioni. Le più note sono:
- Marine Stewardship Council (MSC), il marchio blu che attualmente è applicato a più di 20mila prodotti venduti nel mondo;
- Friends of the Sea (FOS).
Valentina Neri