Considerando anche la costruzione e il mantenimento degli impianti, il nucleare ha costi enormemente più alti rispetto a fotovoltaico ed eolico. A dirlo è uno studio della coalizione 100% Rinnovabili Network
Da un lato la transizione energetica, spinta sia dall’urgenza della crisi climatica sia dalle istituzioni europee che impongono obiettivi vincolanti. Dall’altro lato la nostra dipendenza dall’estero, il cui impatto è diventato evidente con lo scoppio della guerra in Ucraina e l’interruzione delle forniture di gas russo. Per questi e altri motivi, il costo dell’energia in Italia è stato uno dei temi caldi degli ultimi anni. E con ogni probabilità continuerà a esserlo, perché è una questione che non si risolve certo dall’oggi al domani. Proprio quando si discute sulle possibili soluzioni, ce n’è una che periodicamente torna in auge: il ritorno al nucleare. Anche considerato che questa fonte di energia, pur non essendo rinnovabile, emette gas serra in atmosfera in quantità bassissime rispetto ai combustibili fossili. Sul fatto che sia conveniente dal punto di vista economico, però, un recente studio della coalizione 100% Rinnovabili Network avanza parecchi dubbi.

Foto Shutterstock
Qual è il costo di generazione delle varie fonti di energia
Per paragonare la convenienza economica, lo studio si basa su un indicatore chiamato costo livellato dell’energia: è il rapporto tra i costi complessivi della costruzione e del funzionamento dell’impianto, più i costi operativi, diviso per la quantità di energia elettrica prodotta nella sua vita utile. Il risultato è espresso in dollari per megawattora. È diverso dal prezzo dell’elettricità, perché su quest’ultimo influiscono anche fattori esterni come i margini di profitto dell’operatore, gli eventuali sgravi fiscali, le agevolazioni e così via.
Ebbene: attingendo ai dati dell’Agenzia internazionale per l’energia, si scopre che il costo di generazione dell’energia nucleare nell’Unione europea è di 170 dollari/MWh nel 2023 e scende a 135 nel 2030 e a 125 nel 2050. Molto di più rispetto al solare fotovoltaico, rispettivamente a 50 dollari/MWh nel 2023, 35 nel 2030 e 25 nel 2050. E anche rispetto all’eolico offshore, a quota rispettivamente 60, 55 e 50 dollari/MWh.
Il motivo è presto detto: installare pannelli fotovoltaici o pale eoliche è un’operazione molto più semplice e dai risultati molto più prevedibili rispetto ad aprire e mantenere in funzione una centrale nucleare. Oltretutto, il calcolo del costo livellato dell’energia prende in considerazione solo in minima parte i costi di decomissioning, cioè chiusura della centrale, e di bonifica dei siti.
Il nucleare francese, un cattivo affare
Se è così, allora, come si spiega il fatto che la Francia si affidi da decenni al nucleare? Secondo la coalizione 100% Rinnovabili Network, questo è tutt’altro che un caso di successo. Perché Électricité de France (EDF), si legge nel rapporto, è “fortemente indebitata, nonostante i consistenti aiuti pubblici, in forte difficoltà nella ristrutturazione dei suoi 56 reattori nucleari e con poche risorse disponibili per investimenti nelle rinnovabili”. Aiuti di Stato che sono stati per giunta sanzionati dalla Commissione europea.
È vero che l’elettricità in Francia è venduta a un prezzo molto basso, continua lo studio, ma questo è possibile soltanto perché EDF la vende a prezzi scontati. Il che ha fatto aumentare a dismisura l’indebitamento della società, arrivato a sfondare il tetto dei 64,5 miliardi di euro nel 2022. Tant’è che nel 2023 lo Stato francese la ha dovuta nazionalizzare al 100%, dopo 17 anni di presenza in Borsa. Tutto ciò a spese pubbliche e imponendo sacrifici ai piccoli azionisti.
Ciò accade mentre lo stato di salute delle centrali nucleari francesi non è ottimale, tra reattori costretti a fermarsi per manutenzione (nel 2022 ne erano attivi soltanto la metà), imprevisti (come l’incendio nella centrale di Chinon all’inizio del 2024) e la Corte dei conti che chiede a gran voce di fermare la costruzione delle centrali di nuova generazione, almeno fino a quanto non sarà possibile avere un quadro verosimile di costi e redditività.

Foto Shutterstock
La falsa soluzione dei piccoli reattori nucleari
Per un ipotetico rilancio del nucleare in Italia, tuttavia, il modello a cui si fa riferimento non è tanto quello delle centrali tradizionali quanto, piuttosto, quello dei piccoli reattori modulari. Noti anche come SMR, dall’inglese Small Modular Reactors, sono reattori di dimensioni ridotte, con una capacità massima di 300 MWe ciascuno. Vengono prefabbricati e poi trasportati sul sito d’installazione, dove vengono affiancati l’uno all’altro per combinarne la capacità.
Sulla carta, la loro fabbricazione “in serie” è molto più semplice ed economica. Nei fatti, almeno per ora, queste sono tutte stime. Perché si tratta ancora di progetti pionieristici e sperimentali, non ancora sviluppati su scala commerciale. “Gli SMR perdono in termini di economie di scala e quindi l’energia generata sarà più costosa. Le poche stime dei costi esistenti, necessariamente speculative, mostrano tutte che gli SMR saranno più costosi per unità di capacità installata rispetto ai grandi reattori”, si legge nella la rassegna internazionale sui progetti in corso pubblicata da The World Nuclear Industry -Status Report 2024.
Come superare i limiti delle fonti rinnovabili
Se davvero il futuro sta nelle rinnovabili, allora diventa necessario e urgente superare quello che è sempre stato il loro limite principale: l’intermittenza. Semplificando, per il fotovoltaico serve il sole, per l’eolico il vento. Ma le necessità di famiglie, edifici e imprese non possono certo sottostare alla variabilità del meteo. Secondo il rapporto, questo è un ostacolo che si può superare combinando le diverse fonti con l’ausilio delle nuove tecnologie.
In particolare, le batterie si caricano quando la produzione di elettricità è più intensa e fungono da riserve che lavorano per soddisfare la domanda giornaliera, gestendo continuamente le fluttuazioni nella rete. E all’orizzonte c’è lo sviluppo di batterie al sodio, la cui materia prima è molto più facile da reperire rispetto al litio. I sistemi di accumulo di energia di lunga durata, invece, svolgono una funzione di accumulo su scala stagionale, rendendo più affidabile e flessibile la rete. È vero, questi sistemi di accumulo costano. Ma è vero anche che tali costi scendono man mano che la diffusione aumenta. E che comunque, anche sommandoli al bassissimo costo di installazione degli impianti e produzione dell’energia, non si arriva a pareggiare il costo del nucleare.
Valentina Neri