Il fenomeno, di cui ancora non si parla abbastanza, è conseguenza dei cambiamenti climatici ed è al centro di una pubblicazione dell'Associazione A Sud
Freedom è nigeriano, dopo essere finito alla mercé di una confraternita di mercenari dediti al contrabbando del petrolio, ha presentato richiesta di asilo in Italia. Adama è nato in Mali in una famiglia costretta, come tante altre da un sistema economico dominante, a coltivare cotone per sopravvivere. A 16 anni è scappato e nel 2014 è approdato in Italia a bordo di una delle carrette del mare ed è in attesa che la sua richiesta di protezione internazionale sia vagliata. Le storie di Freedom e Adama, insieme a quelle di Ibrahima, maliano di Aite e del palestinese Dauod Nassar sono raccontante nell’ultima parte di “Crisi ambientale e migrazioni forzate – L’ondata silenziosa oltre la fortezza Europa”, una pubblicazione dell’associazione A Sud a cure di Salvatore Altiero e Maria Marano che cerca di mettere a fuoco il fenomeno delle migrazioni originate da cause ambientali.
Del fenomeno dei migranti ambientali, di cui ancora non si parla abbastanza, si occupano da anni le associazioni ambientaliste. In un rapporto del 2013 di Legambiente era già ipotizzato, secondo le stime dello scienziato Mayer, il raggiungimento entro il 2050 di 200/250 milioni di miranti ambientali. Secondo il programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) dello stesso anno nel 2060 in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici. Nonostante tutto lo status di “rifugiato ambientale” non è ancora stato riconosciuto dalle leggi internazionali.
Si tratta, solitamente, di «migrazioni che non fanno rumore, perché difficili da quantificare, non tutelate dal diritto internazionale, complesse da comprendere e da spiegare», spiegano i due autori di “Crisi ambientale e migrazioni forzate” nell’articolata sinossi delle 353 pagine scaricabili gratuitamente da asud.net, il sito dell’associazione. «Secondo i dati del Global Report on Internal Displacement (2016) pubblicati dall’Internal Displacement Monitoring Centre, nel mondo, ci sono 40,8 milioni di sfollati interni, il doppio dei rifugiati». Si tratta di migranti costretti a lasciare le proprie terre a causa di disastri ambientali. Negli ultimi otto anni è stato registrato un totale di 203,4 milioni di sfollati interni collegati a disastri e calamità naturali, di cui 19,2 milioni solo nel 2015: tra le aree più colpite l’India con 3,7 milioni di sfollati, la Cina con 3,6 milioni e il Nepal con 2,6 milioni. «A queste bisogna aggiungere le migrazioni forzate per cause ambientali più direttamente connesse a fattori di origine antropica», continuano i due autori. In quest’ultimo caso si tratta di migrazioni che sfuggono alle statistiche ufficiali delle quali, però, si dovrà presto cominciare a parlare perché non varrà più l’assunto “Aiutiamoli a casa loro”, perché è proprio la “casa” che, per cause indotte dal cambiamento climatico, non sarà più vivibile.