Nello studio scritto da due ricercatori italiani e pubblicato sul«Nature Scientific Reports» si evidenzia la presenza di rifiuti marini in esemplari della specie Pelagia noctiluca
La plastica nel mare? Si può trovare, oltre che nei pesci e nelle ostriche, anche nel corpo delle meduse. La (triste) scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori italiani, che in uno studio pubblicato sulle colonne di «Nature Scientific Reports» ha evidenziato per la prima volta la presenza di rifiuti marini in esemplari di medusa della specie Pelagia noctiluca, diffusa nel Mar Mediterraneo. Lo studio, coordinato da Armando Macali (Università della Tuscia) ed Elisa Bergami (Università di Siena), è il primo a dimostrare che le meduse costituiscono un «target» della plastica in mare. La ricerca è stata condotta su campioni prelevati in uno specchio d’acqua limitrofo all’isola di Ponza, caratterizzato da un’area di accumulo di rifiuti marini formata dalla convergenza di correnti superficiali.
DALLE MEDUSE FINO ALLO SPADA E AL TONNO – La scoperta è considerata preoccupante in ragione della posizione che le meduse occupano nella catena trofica marina. Questi cnidari formano infatti una parte considerevole della dieta dei grandi vertebrati, quali tartarughe marine e pesci, comprese anche specie rilevanti dal punto di vista commerciale: come tonno e pesce spada. Sulla base di quanto osservato, non si può escludere dunque che le medusa rappresentino un importante veicolo della plastica (e di altri rifiuti) verso il corpo di pesci che poi finiscono sulle nostre tavole. Il campione preso in esame nello studio, per quanto ridotto, rappresenta comunque un punto di partenza per avviare attività di monitoraggio e per comprendere i meccanismi di interazione delle plastiche con questi invertebrati marini e i loro potenziali effetti negativi. Durante le attività subacquee, i ricercatori hanno osservato diverse meduse che interagivano con i rifiuti marini presenti in sospensione. La raccolta e analisi di alcuni esemplari di meduse ha confermato la presenza di frammenti di natura sintetica all’interno delle loro cavità gastrovascolari. Tale evidenza ha permesso di ipotizzare la capacità delle meduse di ingerire rifiuti plastici marini, probabilmente riconoscendoli come prede a causa delle proprietà chimico-fisiche intrinseche delle plastiche. La caratterizzazione dei frammenti plastici trovati nel corpo dalle meduse mediante spettroscopia ha permesso l’identificazione univoca di due frammenti di plastica costituiti da polietilene ad alta densità e polietilene contenente un ritardante di fiamma, oltre a un terzo frammento di vernice a base di zinco.
A RISCHIO L’INTERO ECOSISTEMA – L’accumulo dei rifiuti marini, in particolare delle plastiche, nei mari e negli oceani di tutto il mondo è stato documentato dagli anni ‘70 e recentemente identificato come una delle più gravi forme di inquinamento a livello globale. In mare, i grandi frammenti di plastica, noti come macroplastiche se di dimensioni superiori al centrimetro, possono rappresentare un pericolo per molti animali marini. Questi infatti possono ingerirli e morire subito dopo per soffocamento, annegamento o per l’insorgenza di diverse disfunzioni alimentari. Diverse specie di organismi sono minacciate dalla presenza delle plastiche ma, fino a oggi, la maggior parte degli studi era stata effettuata su pesci, tartarughe e uccelli marini. Adesso la triste scoperta riguardante le meduse: l’ultima specie a infoltire l’elenco delle vittime della sciatteria del genere umano.
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