Anche l’Italia può essere da questo fenomeno meteorologico che può provocare danni piuttosto seri. Capiamo meglio di cosa si tratta, come si forma e se è possibile collegarlo alla crisi climatica
I medicane sono una minaccia meteorologica che interessa l’area del Mediterraneo. Quanto sono frequenti? Secondo Vittorio Minio, dell’Osservatorio dell’Etna dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), tra novembre 2011 e febbraio 2023 almeno nove medicane e diverse mareggiate stagionali comuni hanno interessato il Mar Mediterraneo e le zone costiere dei vari Paesi che lo costeggiano.
I danni provocati, seppure non paragonabili a quelli degli uragani tropicali, sono comunque significativi. Infatti, il medicane è in grado di produrre ingenti danni lungo le coste esposte, costituendo un elevato fattore di rischio a causa dell’elevata densità di popolazione e delle infrastrutture produttive presenti.
Cos’è il Medicane?
Quando si parla di medicane, il significato va cercato nel secolo scorso. Sono stati i meteorologi americani Steven Businger e Richard Reed, nel 1989, a inventare il termine, nato per assonanza con il termine americano uragano. Si tratta, infatti, della crasi tra “mediterranean” e “hurricane”, cioè uragano mediterraneo.
Con tale parola si definisce un sistema di bassa pressione identificabile come un ciclone tropicale di piccola portata che si verifica sul Mar Mediterraneo. Con quest’ultimo condivide alcune caratteristiche, tra cui forti piogge, venti e mareggiate, ma la sua durata e intensità sono limitate a causa della ridotta estensione del Mediterraneo.
Per comprendere meglio: una piccola percentuale di Medicane raggiunge venti sostenuti forti quanto un uragano di categoria 1 e raramente anche di più. Secondo la scala dei venti degli uragani Saffir-Simpson, la categoria 1 significa venti sostenuti con velocità da 64 a 82 nodi (119-153 km/h). Durante un uragano di categoria 5 (quella massima) i venti possono toccare e superare i 250 km/h.
Le caratteristiche dell’uragano mediterraneo
Nel “Mare Magnum” si verificano una serie di pericoli indotti dalle condizioni meteorologiche che comportano depressioni di breve durata, come basse temperature mediterranee o depressioni mediterranee. I più intensi di questi sono chiamati cicloni mediterranei o “medicane”.
Sebbene la loro struttura e il loro comportamento assomiglino alle caratteristiche di un uragano, i medicane sono più deboli in intensità, interessano meno aree, hanno una durata più breve.
Sebbene non esista ancora una definizione scientifica universalmente riconosciuta di ciò che chiamiamo “medicane”, esistono alcuni criteri qualitativi per identificarlo: caratteristiche peculiari sono una copertura nuvolosa continua e una forma simmetrica attorno a un occhio di ciclone chiaramente visibile e un vento sostenuto di 100 km/ora o più.
Come spiegato dall’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza aerea (EASA), in generale, la maggior parte dei medicane ha un raggio di 70-200 km, mantiene le sue caratteristiche tropicali fino a 3 giorni e viaggia tra 1.000 km e 3.000 km. La stessa EASA spiega che la maggior parte dei medicane registrati si sono formati nell’area delimitata a ovest dalle coste della Spagna, a nord dalla costa della Francia, a est dall’isola della Corsica e a sud dalle coste dell’Algeria. E aggiunge che l’area preferita per la genesi dei medicane è il Canale di Sicilia. Una regione secondaria di formazione è l’area tra il golfo della Sirte fino al Mar Ionio.
Prevedere la formazione di un medicane: un’ipotesi scientifica
Come è possibile comprendere se si sta formando un medicane? Secondo uno studio presentato la scorsa primavera, le aree del Mar Mediterraneo interessate dalla formazione da tali fenomeni estremi sono caratterizzate da una sensibile diminuzione di temperatura della superficie del mare qualche giorno prima della genesi di questi eventi estremi.
La ricerca, coordinata dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra e Geo-Ambientali dell’Università Aldo Moro di Bari, svolto in collaborazione con l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Cnr-Isac), l’Università di Venezia Ca’ Foscari, l’Università di Catania, l’Università di Genova e l’Area Marina Protetta del Plemmirio, ha analizzato le temperature superficiali del Mediterraneo nei giorni precedenti la genesi di 52 differenti eventi di cicloni tropicali mediterranei avvenuti dal 1969 al 2023.
Analizzando le differenze di temperatura della superficie del mare, registrate nei dieci giorni precedenti la ciclogenesi, ha riscontrato una importante diminuzione, fino a 4 °C nei casi più estremi: è una peculiarità ritenuta caratteristica quasi esclusiva dei medicane.
Medicane e climate change: un possibile legame
C’è un nesso tra la formazione dei medicane e i cambiamenti climatici? Gli scienziati hanno recentemente iniziato a studiare gli effetti del climate change sulle caratteristiche di queste tempeste, in termini di frequenza e intensità.
Si tratta di un problema difficile da affrontare: da un lato, la climatologia di questi fenomeni è nota con precisione solo dall’era satellitare (circa 1975), dall’altro, le dimensioni modeste di questi sistemi rendono impossibile simularli nei modelli climatici globali. Nei modelli climatici regionali, è stato dimostrato che un aumento di 3°C della temperatura del mare potrebbe portare alla formazione di veri e propri uragani nel Mediterraneo, la cui frequenza e intensità sono difficili da stimare.
Sono stati sviluppati e utilizzati modelli regionali del sistema terrestre per il bacino del Mediterraneo all’interno della comunità scientifica Med-CORDEX e sulla base della letteratura pubblicata siamo in grado di affermare che per un riscaldamento globale di 2 °C o più si prevede che la frequenza dei medicane diminuisca ma che la loro intensità aumenti. La diminuzione della frequenza deriva dalle condizioni più anticicloniche nel bacino del Mediterraneo, che dovrebbero ridurre la ciclogenesi nel bacino. L’aumento di intensità è legato al riscaldamento del bacino del Mediterraneo, la principale fonte di assorbimento energetico per i medicane.
Andrea Ballocchi