Oggi i consumatori hanno due strumenti in più per valutare l'impatto ambientale dei propri acquisti: un contatore realizzato dal Wwf e un'etichetta lanciata da Legambiente per comunicare la quantità di gas a effetto serra generata dai prodotti in carrello
Ogni prodotto, così come ogni attività umana, lascia un’impronta sull’ambiente circostante producendo una certa quantità di gas serra: è la carbon footprint, un parametro sempre più considerato per valutare quanto sia sostenibile un prodotto rispetto a un altro. Una confezione da 500 grammi di carne bovina, per esempio, ha un’impronta di carbonio pari a 165 kg di Co2 equivalenti, un litro di latte vale 17 kg di Co2 equivalenti, una confezione da 1 kg di caffè 74 kg. Ma come può un consumatore sapere al momento dell’acquisto se sta comprando qualcosa la cui produzione ha comportato molte emissioni inquinanti? Per prima cosa può usare il buon senso: la frutta esotica che proviene dall’altro capo del mondo, per esempio, avrà un’impronta più rilevante di quella di stagione e disponibile sul territorio. Oltre alla produzione e all’estrazione delle materie prime, vanno valutate anche la logistica, la distribuzione e lo smaltimento, cioè tutto il ciclo di vita di un certo prodotto.
Oggi però c’è uno strumento per calcolare la carbon footprint della propria spesa alimentare: un semplice contatore realizzato dal Wwf e a disposizione di tutti sul sito www.improntawwf.it Imparare a valutare l’impatto sull’ambiente di quello che si mette nel carrello è il primo passo per uno stile di vita a più basse emissioni che potrà essere completato dalla buona abitudine di viaggiare con i mezzi pubblici e usare le gambe per i brevi tratti di percorrenza.
Non solo. Le stesse aziende, ovviamente quelle con una sensibilità green, desiderano dare visibilità alla carbon footprint dei propri prodotti. Sono Philips con le lampadine a risparmio energetico, Epson con ventidue modelli tra stampanti e multifunzione, laser e inkjet, Pomì con le sue passate di pomodoro e Sma-Auchan con i cracker a marchio dell’insegna. E poi ancora il Greenpallet dell’azienda Palm, i prodotti chimici della Npt, i meloni dell’azienda agricola Perini di Casteldidone e i menù, di carne o vegetariani, dell’azienda agricola “Il Campagnino”. Tutte queste aziende hanno deciso di adottare l’etichetta “Per il Clima” lanciata da Legambiente per comunicare la quantità di gas a effetto serra generata da un prodotto o da un servizio durante una o più fasi del suo ciclo di vita.
Obiettivo: in prima battuta fare in modo che questa etichetta faccia presto la sua comparsa su tutti i prodotti, in seconda battuta educare i consumatori a una spesa consapevole e sostenibile dando loro un parametro in più oltre alla qualità e convenienza. Si tratta di un’etichetta volontaria di prodotto, espressione dell’assunzione di responsabilità da parte dell’azienda nei confronti del consumatore e dell’ambiente. Il calcolo del peso di Co2 riportato in etichetta è eseguito dall’Istituto di Ricerche Ambiente Italia sulla base dello standard tecnico Pas 2050 elaborato dal British Standard Institute.