Il land grabbing è un fenomeno in preoccupante sviluppo a livello globale. Già nel 2016 Oxfam segnalava che milioni di persone rischiavano di essere sfollate dalle loro case mentre le vendite di terra che coprono un’area grande come la Germania sono sotto contratto. Su oltre 1500 contratti riguardanti acquisizioni terriere su larga scala, il 59% circa riguardava terre rivendicate da popoli indigeni e piccole comunità, la cui proprietà tradizionale è raramente riconosciuta formalmente dai governi.
Land grabbing, l’accaparramento delle terre fertili
Negli ultimi decenni, gli investimenti in terra sono aumentati in maniera drammatica per soddisfare la domanda globale di generi e di biocarburanti, produrre materie prime industriali e sviluppare centri urbani. Ma anche la transizione energetica ha i suoi effetti collaterali: silicio, zinco, rame e terre rare rientrano tra le materie prime ad alto sfruttamento oltre a generi meno ovvie come noci di cocco, aglio e patate dolci, sono fortemente associati a questa pratica.
Ma nulla è pari a olio di palma e cobalto: queste due materie presentano il maggior rischio di land grabbing a livello globale, emerge dall’analisi di Verisk Maplecroft che ha analizzato più di 170 materie prime. Resta il fatto che metà della terra del mondo è abitata da 2,5 miliardi di donne e uomini appartenenti a gruppi indigeni o comunità locali, ma formalmente ne possiedono solo un quinto. Spesso parte del loro territorio risulta oggetto di acquisizioni su larga scala effettuati a loro discapito.
Cos’è e chi colpisce il land grabbing?
Agricoltura intensiva, consumo di suolo, sfruttamento senza regole (o quasi) di miniere e terre sono alcuni tratti caratteristici del land grabbing, termine che da circa vent’anni si è guadagnato una certa notorietà in tutto il mondo. Il significato della parola è semplice: ci si riferisce alle acquisizioni di terra su larga scala, principalmente da parte di investitori privati, ma anche da realtà pubbliche e imprenditori che acquistano terreni o li affittano a lungo termine per produrre materie prime agricole. Questi investitori internazionali, così come i venditori pubblici, semi-pubblici o privati, spesso operano in zone grigie, legalmente parlando, e in contesti in cui i diritti tradizionali sulla terra e le forme moderne di proprietà sono spesso assenti.
Il land grabbing è un problema serio che colpisce l’ambiente, l’economia, il benessere sociale e i diritti umani, evidenzia la FAO. Diversi studiosi ed esponenti dell’opinione pubblica l’hanno etichettato come “accaparramento della terra” a causa dei suoi numerosi impatti negativi.
L’esempio dell’Africa
Dal 2009, Land Matrix, un’iniziativa indipendente di monitoraggio delle terre della società civile, ha raccolto informazioni chiave sul land grabbing. Dall’osservatorio e dal relativo report emerge che quasi il 9% della superficie totale di terra arabile dell’Africa ha cambiato proprietario dal 2000. Le maggiori acquisizioni di terra sono concentrate in paesi con strutture di governance deboli. Nei Paesi vittima di questo fenomeno, la percentuale di fame e malnutrizione nella popolazione è molto alta: gli esempi sono la Repubblica Democratica del Congo, il Sudan, il Mozambico, l’Etiopia e la Sierra Leone.
Nello Human Rights Outlook 2021 di Verisk, elenca 12 Paesi più a rischio: Colombia, Perù e Brasile (America Latina); Ghana, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo (Africa); Iran, India, Cina, Vietnam, Filippine, Indonesia (Asia).
Scarsi benefici socio-economici per i popoli colpiti
Il rispetto dei principi di condotta responsabile del business è raro, e la scarsa consultazione con le comunità interessate è comune. La perdita non consensuale e non compensata di terra spesso è accompagnata da scarsi benefici socio-economici. “Le aspettative che gli investimenti fondiari su larga scala avrebbero migliorato le infrastrutture sociali e fisiche sono rimaste disattese”, si legge nell’analisi. Solo il 15% degli accordi conclusi riportano informazioni sui benefici promessi in termini di sviluppo delle infrastrutture, e di questi, solo nella metà dei casi questi benefici si sono effettivamente materializzati sul campo.
Land grabbing: cause e conseguenze
I problemi che provoca il land grabbing spesso restano sommersi. Come segnalava un report della FAO, IIED e IFAD nel 2009 alcune acquisizioni su larga scala di terreni agricoli in Africa, America Latina, Asia centrale e Sud-Est asiatico avevano fatto clamore e notizia. “Tuttavia, mentre un tentativo fallito di affittare 1,3 milioni di ettari in Madagascar ha attirato molta attenzione dei media, gli affari riportati dalla stampa internazionale costituiscono la punta dell’iceberg”.
La cattiva governance e la corruzione sono fattori chiave nello sviluppo di questo fenomeno e giocano un ruolo importante nel consolidare la povertà già esistente.
Oggi le cose non sono cambiate. E gli effetti collaterali di queste operazioni sono pesanti.
In tutto il mondo, i governi perdono da 7 a 12 miliardi di dollari all’anno in potenziali entrate fiscali a causa del disboscamento illegale, della pesca e del commercio di animali selvatici. La già citata ricerca condotta da Maplecroft stabilisce anche un chiaro legame tra i furti di terra e la perdita di capitale naturale, un termine sempre più popolare che copre i servizi forniti dalla natura, come l’aria e l’acqua pulita, gli insetti impollinatori e la qualità del suolo.
Dal 2012 l’osservatorio Land Matrix stima che tra il 30% e il 73% della terra contrattata sia stata messa in produzione. Queste cifre mostrano che le acquisizioni su larga scala documentate da Land Matrix dal 2000 si sono trasformate in produzioni agricole intensive nei vent’anni successivi su un’area che va da circa 8 milioni di ettari (paragonabile per dimensioni alla Sierra Leone o all’Austria) a 21 milioni di ettari (equivalenti per dimensioni al Ghana o alla Gran Bretagna). Inoltre, c’è ancora una superficie tra i 9 e i 22 milioni di ettari dei 30 milioni di ettari di terra attualmente acquistati dagli investitori che non è stata ancora stata sfruttata per la produzione.
L’analisi mostra ancora che circa il 39% dell’area totale di acquisizioni di terre su larga scala era ancora coperta da foreste nel 2019. Tuttavia, “si profila una minaccia imminente per le foreste rimanenti” dal momento in cui gli accaparramenti passeranno dalla carta alla terra, sotto forma di agricoltura intensiva, sfruttamento minerario o consumo di suolo. Con la crescente deforestazione e i danni ad altri ecosistemi, la biodiversità è ugualmente colpita. I dati Land Matrix mostrano che l’87% delle acquisizioni sono state fatte in regioni con un indice di biodiversità terrestre medio-alto, di cui il 39% ricade, almeno parzialmente, in aree molto delicate dal punto di vista ambientale.
Andrea Ballocchi