Tutto quello che c’è da sapere sugli impianti di incenerimento rifiuti
In Italia ce ne sono a decine, funzionano giorno dopo giorno e svolgono un ruolo importante nel ciclo dei rifiuti. Ma sono anche quegli impianti che nessuno vorrebbe avere vicino a casa. Stiamo parlando degli inceneritori di rifiuti – o meglio ancora termovalorizzatori, se producono anche energia. Cerchiamo di capire meglio come funzionano e perché risultano così divisivi.
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Inceneritore di rifiuti: che cos’è
Un impianto di incenerimento dei rifiuti, come suggerisce il nome, serve per bruciare rifiuti solidi evitando così di smaltirli in discarica. Idealmente, questa tecnica dovrebbe essere riservata soltanto a quella frazione di rifiuti che non è possibile riciclare o avviare al compostaggio, per esempio quelli industriali, ospedalieri e – nel caso dei rifiuti urbani – quelli che vanno buttati nella frazione secca. L’incenerimento dei rifiuti è un processo che avviene a temperature altissime (sopra gli 850 gradi centigradi) e dunque genera calore che può essere recuperato per generare energia elettrica o alimentare sistemi di teleriscaldamento.
Come funziona un inceneritore
Più nel dettaglio, dunque, come funziona un inceneritore? I rifiuti vengono introdotti nell’impianto attraverso un sistema di alimentazione che può essere a tramoggia o a nastro trasportatore. Una volta all’interno, vengono sottoposti a una combustione controllata – a temperature che, come ricordato, vanno dagli 850 ai 1.050 gradi – in cui il calore prodotto distrugge i materiali organici. La temperatura minima di 850 gradi è imposta per legge per evitare la formazione di diossine.
Tale processo genera fumi, residui solidi e calore. I primi vengono convogliati verso appositi impianti di filtraggio che rimuovono sostanze nocive, furani e polveri sottili. Le ceneri residue vengono raccolte, raffreddate con l’acqua e smaltite in discariche controllate: il loro volume è una minima parte rispetto a quello iniziale dei rifiuti che erano stati conferiti.
L’uso del calore, infine, è quello che fa la differenza fra i tradizionali inceneritori e i moderni termovalorizzatori. I primi, infatti, hanno il solo e unico scopo di bruciare i rifiuti. I secondi – che poi sono tutti quelli attivi in Italia in questo momento – sfruttano invece il calore rilasciato dalla combustione per generare vapore ad alta pressione che alimenta una turbina collegata a un alternatore, producendo così energia elettrica. In aggiunta, l’impianto può fornire calore – sotto forma di vapore o acqua calda – a una rete di teleriscaldamento al servizio di case, industrie o edifici pubblici. Tutto questo, però, con un’efficienza inferiore rispetto a una normale centrale elettrica.
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Impianto di incenerimento: vantaggi e svantaggi
La costruzione di un impianto di incenerimento è uno di quei temi che inevitabilmente generano dibattito nella comunità coinvolta, tra chi lo descrive come un’infrastruttura necessaria e chi teme ripercussioni in termini di inquinamento. Ripercorriamo quindi rapidamente le argomentazioni pro e contro.
I vantaggi dei termovalorizzatori:
- riducono fino al 90% il volume dei rifiuti e dunque la necessità di spazio nelle discariche;
- generano elettricità e calore per il riscaldamento, sostituendo le centrali a combustibili fossili;
- sono idonei per i rifiuti che, per le loro caratteristiche, non possono essere riciclati;
- attraverso la combustione controllata evitano la produzione di metano, potente gas serra che invece si genera nelle discariche;
- permettono di recuperare metalli e altri materiali dalle ceneri residue.
Gli svantaggi dei termovalorizzatori:
- i sistemi avanzati di filtrazione non possono comunque impedire il rilascio di CO2, NOx e microinquinanti;
- producono energia elettrica ma con un’efficienza molto inferiore rispetto a quella delle centrali a gas o delle energie rinnovabili;
- comportano elevati costi di costruzione e gestione, spesso a carico dei bilanci pubblici;
- sono spesso osteggiati dagli abitanti della zona;
- in un’ottica di economia circolare lo smaltimento dei rifiuti dovrebbe essere una soluzione residuale, perché la priorità dovrebbe essere quella di agire a monte per allungare la vita utile delle risorse.
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Tipologie di impianto di incenerimento
Dopo aver descritto in generale i princìpi, i vantaggi e gli svantaggi di questa tecnologia, vediamo più da vicino come funzionano le varie tipologie di inceneritori di rifiuti elencando le caratteristiche peculiari di ciascuno di essi.
Inceneritori di rifiuti ospedalieri
Oltre ai comuni rifiuti domestici che siamo abituati a conoscere e maneggiare, ce ne sono altre tipologie che richiedono cautele ad hoc. È il caso dei rifiuti sanitari, provenienti cioè da ospedali e ambulatori, laboratori di analisi, centri estetici, tatuatori e piercer, dentisti e veterinari. La normativa li classifica in sette categorie, a seconda di quanto sono pericolosi e a rischio di infezione. Se infatti i flaconi vuoti, gli imballaggi o gli assorbenti sono assimilabili ai rifiuti urbani, indumenti e medicamenti contaminati da materiale biologico rappresentano un rischio per la salute pubblica se non gestiti correttamente.
La normativa impone quindi alle strutture di depositare questi rifiuti in contenitori idonei e avviarli a smaltimento entro scadenze prestabilite. I rifiuti sanitari a rischio infettivo vanno sterilizzati oppure inceneriti ad alta temperatura, mentre gli altri rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento vanno avviati agli appositi inceneritori di rifiuti ospedalieri.
Inceneritore di rifiuti domestico
Non è possibile dotarsi di un inceneritore di rifiuti domestico a uso privato, perché la combustione dei rifiuti – se non effettuata in strutture idonee e rispettando i parametri di legge – comporta gravi rischi ambientali e sanitari. Oltre a seguire le regole per la raccolta differenziata, in casa ci si può dotare al più di un piccolo impianto di compostaggio.
Inceneritore di rifiuti organici
Per i rifiuti organici, le soluzioni ottimali in termini ambientali sono il compostaggio e la digestione anaerobica. Il primo processo avviene in presenza di ossigeno e fa sì che i microrganismi decompongano gli scarti (di norma alimentari e vegetali) trasformandoli in compost. Si parla invece di digestione anaerobica quando la decomposizione avviene in assenza di ossigeno e genera biogas, una fonte di energia rinnovabile. L’inceneritore non è dunque la scelta da preferire per i rifiuti organici, a meno che non si tratti di scarti industriali oppure di rifiuti sanitari a rischio infettivo che necessitano di un trattamento ad hoc.
Inceneritore di rifiuti urbani
L’Ispra fa sapere che nel 2022 i rifiuti urbani inceneriti con o senza recupero del calore, comprensivi dei rifiuti combustibili, della frazione secca e del bioessiccato ottenuti dal loro trattamento, sono 5,3 milioni di tonnellate. Il 71,4% è stato trattato al nord, il 9,5% al centro e il 19,1% al sud.
Soprattutto nelle aree ad alta densità abitativa o dove lo spazio per le discariche è limitato, gli inceneritori per i rifiuti urbani permettono di trattare i rifiuti urbani che non possono essere riciclati o avviati a compostaggio (tipicamente la frazione secca), riducendone il volume e – ormai nella maggior parte dei casi – recuperando energia sotto forma di calore o elettricità (per questo si parla di termovalorizzatori).
Inceneritore rifiuti speciali
L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) fa sapere che in Italia nel 2022 sono stati avviati a incenerimento 1,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, il 37% dei quali pericolosi. L’83,9% di questi rifiuti è stato trattato da uno dei 43 inceneritori per rifiuti speciali presenti al nord, il 2,3% al centro e il 13,8% al sud (dove gli impianti sono rispettivamente 7 e 20).
Queste strutture sono progettate specificamente per poter gestire scarti industriali, fanghi di depurazione, residui sanitari e altri materiali non classificabili come rifiuti solidi urbani, sulla base di normative che disciplinano in modo molto rigoroso le emissioni in atmosfera, la gestione dei residui e l’efficienza energetica. Nel nostro Paese, il più grande inceneritore per rifiuti speciali industriali è quello gestito da A2A a Filago, in provincia di Bergamo, e ha una capacità di circa 100mila tonnellate all’anno tra rifiuti liquidi e solidi.
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L’inceneritore rifiuti è green?
Ma ci sono ragioni solide per temere che gli inceneritori inquinino? Di per sé, come già spiegato, questi impianti generano fumi (che contengono a loro volta diossine, metalli pesanti e particolato fine) e ceneri residue. La pericolosità per l’ambiente e la salute umana dipende in gran parte dalla tipologia di sistemi di filtraggio (dei primi) e di stoccaggio e smaltimento (delle seconde).
Utilitalia, attraverso un Libro bianco pubblicato nel 2021, ripercorre gli studi epidemiologici condotti in varie città europee in Italia e all’estero. Quelli che rilevano un impatto negativo sulla popolazione, con un maggiore rischio di sviluppare determinati tipi di tumore, sono riferiti soprattutto a impianti di vecchia generazione.
Gli inceneritori costruiti negli ultimi vent’anni, invece, sembrano emettere inquinanti in concentrazioni talmente modeste da non rappresentare un rischio sostanziale per la salute. Va comunque ricordato come la combustione dei rifiuti emetta CO2 in atmosfera: l’impatto sul clima dunque esiste, pur essendo più contenuto rispetto a quello delle discariche (che emettono quantità molto più consistenti di gas serra, in primis il metano).
L’approccio autenticamente green resta comunque quello dell’economia circolare, un modello pensato per consumare a monte la minore quantità possibile di risorse della natura e farle durare più a lungo, attraverso il riuso, la riparazione, la rigenerazione, il recupero e la riprogettazione. I rifiuti dunque dovrebbero essere soltanto una quota residuale, da gestire primariamente attraverso il riciclo.
Valentina Neri