La campagna anti-inquinamento del governo cinese punta ad individuare emissioni clandestine di gas di imprese ed esercizi commerciali
Alcune settimane fa il primo ministro cinese Li Keqiang aveva definito l’inquinamento atmosferico un «allarme rosso inviatoci dalla natura di fronte ad un modello di sviluppo inefficace e cieco», aggiungendo che la Cina avrebbe dichiarato guerra all’inquinamento.
Per frenare le ondate di smog sempre più frequenti non solo a Pechino, il governo cinese ha promesso che nel 2020 le emissioni per unità di Pil caleranno del 40-45% rispetto ai livelli del 2005. Ma per monitorare la qualità dell’aria attorno a Pechino la Cina ricorrerà a droni e satelliti ed estenderà questa pratica anche ad altre metropoli cinesi. Secondo il ministero della Protezione ambientale cinese che ha promosso il provvedimento, satelliti e droni potranno controllare le emissioni clandestine di gas provenienti soprattutto da aziende ed esercizi commerciali e fotografarle con dispositivi ad alta risoluzione: i primi dati sono già stati raccolti nella regione fortemente inquinata attorno alla capitale. Secondo il China Daily, la campagna anti-inquinamento ha già raggiunto 25.000 aziende, 33.000 imprese edili e 65.000 ristoranti e ha portato alla chiusura di circa 2.000 aziende artigiane e 1.900 fabbriche.
Il problema dello smog sembra comunque lontano da una soluzione. Infatti come commenta Ernst Ulrichvon Weizsacker co-presidente dell’International Resource Panel del Programma mondiale ONU per l’ambiente UNEP, «potrebbero essere necessari una ventina di anni per risolvere il grave problema dell’inquinamento con il quale si confrontano le città del Paese».