Per proteggere un'area unica nel Mediterraneo per l'alta biodiversità, Greenpeace ha avviato la campagna “U mari nun si spirtusa”, sottoscritta da oltre 57.000 persone
Grandi foreste di gorgonie e coralli di profondità attraversate da specie ittiche di interesse commerciale come il nasello e la triglia ma anche da specie vulnerabili o a rischio di estinzione, quali la balenottera comune, gli elasmobranchi (una varietà di squali) e varie specie di tartarughe. Non è il Mar Rosso ma il Canale di Sicilia anche se le due aree hanno in comune la delicatezza dell’ecosistema e un alto grado di biodiversità. Il Canale, che rappresenta un’area unica in tutto il Mediterraneo e ospita alcuni degli habitat più caratteristici come i vulcani sottomarini e i banchi d’alto mare, è al centro delle preoccupazioni degli ambientalisti.
Greenpeace, che in collaborazione con l’Ispra ha organizzato una spedizione scientifica per esplorarne i fondali, lancia l’allarme: su quegli stessi fondali gravano 29 richieste per la ricerca del petrolio nell’area, di cui 11 già autorizzate. I permessi per l’estrazione di idrocarburi già concessi sono tre, per un totale di quattro piattaforme al largo delle coste siciliane, e tre sono le concessioni di coltivazioni in via di valutazione. L’interesse delle compagnie petrolifere preoccupa l’associazione che per fermare le trivelle ha avviato la campagna “U mari nun si spirtusa”, sottoscritta da oltre 57.000 persone e più di 50 sindaci insieme al governo regionale siciliano. L’appello è stato consegnato ai direttori generali responsabili della Valutazione di Impatto Ambientale e della Protezione della Natura e del Mare del ministero per l’Ambiente anche se ancora il Ministro Clini non si è espresso con chiarezza in merito all’articolo 35 del Decreto “Cresci Italia”.