Ottenuto dall'acqua, può far partire una rivoluzione energetica. «A patto che il nostro Paese sia disposto a crederci», dice Angelo Moreno, presidente dell'associazione H2It
Nel 1874, tra le righe del libro L’isola Misteriosa, l’autore, Jules Verne, pronosticava: «L’acqua sarà un giorno un combustibile. L’idrogeno e l’ossigeno di cui è costituita, utilizzati isolatamente, offriranno una sorgente di calore e di luce inesauribile». Nel 2002 Jeremy Rikfin, nel suo Economia all’idrogeno scriveva: «Le fondamenta dell’economia dell’idrogeno sono già gettate. Nei prossimi anni la rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni, associata a quella imminente dell’energia dell’idrogeno, costituirà un mix di tale potenza da riconfigurare radicalmente le relazioni umane nel corso del XXI e XXII secolo».
Sono trascorsi due secoli tra le due previsioni. Entrambe, anche se solo in parte, si sono avverate. «L’idrogeno (e le celle a combustibile) può dare luogo davvero a una nuova società ed è il vettore energetico di questo secolo in grado di avviare una rivoluzione non solo energetica, ma anche culturale ed economica. Ed è per questo che è osteggiato» a dirlo oggi, nel 2014, è Angelo Moreno, responsabile Enea e presidente della Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile (H2It), uno dei maggiori esperti di idrogeno nazionali e internazionali.
Partiamo da una premessa: l’idrogeno è un vettore energetico “pulito al 100%” (se prodotto da fonti rinnovabili): non c’è infatti emissione di anidride carbonica e quindi l’impatto ambientale, sia globale che locale, è quasi nullo. A ciò si aggiunga che è l’elemento più leggero e abbondante dell’universo ma, spiega Moreno, «allo stesso modo dell’elettricità, non esiste in natura, va prodotto usando energia» a partire da diverse fonti, fossili e/o rinnovabili. Quindi quando si parla oggi della situazione dell’idrogeno è bene distinguere tra le tecnologie che servono per produrlo, conservarlo, trasportarlo e utilizzarlo.
Oggi nel mondo si calcola che vengano utilizzate 50 milioni di tonnellate l’anno di idrogeno in svariati campi, da quello petrolchimico all’alimentare. La domanda però è: perché l’idrogeno non è ancora la principale “voce energetica” mondiale? «Dato che oggi più che mai le scelte vengono fatte in base a criteri economici, la domanda principale è quanto convenga fare l’idrogeno. A mia opinione, le scelte vengono fatte sulla base di altri, forti, interessi, primo dei quali è quello che proviene dai produttori di combustibili fossili. L’idrogeno “dà fastidio” perché può essere prodotto dall’acqua, può essere prodotto in loco e dalle fonti rinnovabili. Attualmente è più costoso produrlo rispetto a metano o benzina. Ma consideriamo, per esempio, che per essere arrivati oggi a far pagare una cifra relativamente modica per il metano che arriva nelle nostre case si è speso molto negli anni per le infrastrutture necessarie a farlo arrivare nelle abitazioni. Ed è questo ragionamento che occorre fare quando si paragonano petrolio e gas all’idrogeno. Per non parlare del fatto che l’uso dell’idrogeno è assolutamente a impatto zero, non così avviene con petrolio & C. perché, a parte la CO2 prodotta (e quindi tutto il discorso relativo al global warming) i combustibili fossili producono sostanze altamente nocive alla salute. Quando si comincerà quindi a pensare, oltre che ai costi economici, anche ai danni collaterali e ai relativi costi?».
Torniamo quindi all’idrogeno e alle tecnologie necessarie per la sua produzione, stoccaggio, trasporto. Cosa bolle in pentola? «L’Unione Europea, Germania in primis, ma anche gli Stati Uniti, il Giappone, la Corea del Nord, hanno chiaramente indicato che il loro obiettivo è la decarbonizzazione della società. Per quanto riguarda l’Europa, il Parlamento nel 2003 aveva tracciato una roadmap tuttora valida che afferma come nel 2050 avremo un’economia orientata all’idrogeno. Abbiamo quindi davanti 40 anni circa: questa transizione sarà tanto più veloce quanto più ci crederemo» spiega l’esperto Enea.
La stessa UE dimostra di crederci: per questo nei primi anni del Duemila ha creato una piattaforma europea, che fa collaborare imprese e ricerca, stanziando prima 470 milioni di euro ai quali è stata sommata una cifra equivalente proveniente dall’industria europea del settore. Poi, lo scorso maggio, ha approvato una seconda piattaforma (FCHJU, acronimo di Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking), con lo stanziamento di 1 miliardo e 330 milioni di euro diviso equamente tra pubblico e privato.
Nella pratica, si vuole arrivare a “mostrare” gli impieghi pratici e quotidiani dell’idrogeno: un esempio è il sistema a celle a combustibile affiancabile già oggi alla caldaia esistente in un ospedale come in un centro commerciale; una volta collegata, la cella trasforma il metano in idrogeno e anidride carbonica, l’idrogeno reagisce all’interno della cella con l’ossigeno dell’aria e produce elettricità e calore, con un’efficienza elettrica che nei casi migliori raggiunge anche il 60%.
E poi entrano in gioco le fonti rinnovabili da cui produrre idrogeno, puntando nel prossimo futuro a rendere conveniente il processo elettrolitico, ossia scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno magari sfruttando l’energia solare. C’è poi l’evoluzione nel settore dello stoccaggio dove entrano in gioco le nanotecnologie, l’utilizzo delle celle a combustibile come “benzina” per i veicoli.
Utopia? No di certo. Basti dire, segnala sempre Moreno, che solo per quanto riguarda il trasporto su strada, «in Germania lo Stato ci crede e l’industria automobilistica si fida: da qui è stato avviato il progetto, che si concretizzerà entro il 2023, di creare 400 stazioni di rifornimento, ossia una ogni 50 chilometri».
E l’Italia, in tutto questo dinamismo, come si pone? «L’idrogeno e le celle a combustibile sono un treno molto importante, anche la Corea del Nord lo ritiene tra i dieci driver fondamentali per l’economia. Su questo treno l’Italia può ancora salire a patto di crederci, ma finora sembra stiamo facendo di tutto per perderlo», è la chiosa amara di Moreno.