Wise Society : Greenwashing: così l’Unione europea vuole tutelare i consumatori dai claim ambientali ambigui

Greenwashing: così l’Unione europea vuole tutelare i consumatori dai claim ambientali ambigui

di Valentina Neri
31 Gennaio 2024

Proteggere i consumatori dai claim ingannevoli che riguardano la protezione dell'ambiente: la nuova direttiva approvata dall'Europarlamento punta a contrastare il fenomeno del greenwashing

Green, ecologico, riciclabile, amico dell’ambiente, zero emissioni: quanto spesso notiamo questi e altri claim ambientali sulle confezioni dei prodotti? E quanto spesso sono proprio queste formule a convincerci, in modo più o meno conscio, a preferire una marca rispetto a un’altra, anche spendendo qualche euro in più? È proprio per questo che le istituzioni dell’Unione europea si sono impegnate a tutelare i consumatori dal greenwashing, attraverso una direttiva che a gennaio ha incassato l’ultimo e definitivo via libera dall’Europarlamento.

Greenwashing

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Quanti prodotti contengono un claim ambientale

Per intuire quale sia la reale portata di questo cambiamento, torna utile dare uno sguardo d’insieme ai trend di consumo di questi ultimi anni. A offrire una panoramica sull’Italia è la quattordicesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, uno studio semestrale che prende il via dalle informazioni (obbligatorie e volontarie) riportate sulle etichette di oltre 136mila prodotti, cioè l’82,6% di quanto venduto da ipermercati e supermercati nel mercato del largo consumo.

Ebbene: otto referenze su dieci riportano, nella loro confezione, almeno una dichiarazione sulla sostenibilità ambientale, sociale o sul benessere animale. Stiamo parlando quindi di quasi 114mila prodotti, con 42 miliardi di euro di vendite nell’anno finito a giugno 2023. Non solo: le vendite di questi articoli che si presentano come “sostenibili” hanno retto anche all’inflazione, con una maggiore crescita a valore e una minore diminuzione dei volumi rispetto agli altri.

Un dato che ben si coniuga con un’indagine di Ipsos che suddivide i consumatori in segmenti. I sostenitori entusiasti, cioè coloro che sono disposti a pagare di più per beni e servizi sostenibili e a correggere il proprio stile di vita per il bene del Pianeta, sono ormai il 17% dei nostri connazionali. Un segmento in crescita, giovane e con un’ampia rappresentanza femminile. Poi c’è un altro 31% di sostenitori pragmatici, che ci tengono all’ambiente e vanno alla ricerca di soluzioni sostenibili ma al tempo stesso pratiche. Sommando questi due gruppi, si sfiora la metà della popolazione.

Ragazza che fa la spesa

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Cosa prevede la nuova direttiva europea sul greenwashing

La nuova direttiva europea vuole fare chiarezza nel panorama delle dichiarazioni ambientali, tanto affollato quanto confuso. Semplificando, il testo vieta tutti quei claim generici e non supportati da prove, come “verde”, “ecologico”, “amico dell’ambiente” e così via. In altre parole, le aziende potranno continuare a vantare benefici ambientali in etichetta, ma soltanto se saranno in grado di dimostrare “un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali” di quello specifico prodotto.

Un esempio? “Packaging che rispetta il clima” è un’asserzione generica e dunque vietata; per renderla specifica, e quindi ammissibile, bisognerebbe piuttosto scrivere che “il 100% dell’energia utilizzata per produrre questo imballaggio proviene da fonti rinnovabili”. Tutte queste specifiche aggiuntive vanno indicate in etichetta: non basta rimandare alla lettura del sito, del report di sostenibilità o di altre piattaforme esterne.

Le aziende d’ora in poi dovranno anche prestare molta attenzione a chiarire se una determinata affermazione si riferisce al prodotto, a una singola parte del prodotto oppure all’impresa nel suo insieme. Comunicare che una felpa è realizzata con materiale riciclato è ben diverso dal comunicare che è riciclata la busta di carta che la contiene. Comunicare che un determinato oggetto è stato fabbricato in uno stabilimento alimentato solo da energie rinnovabili è ben diverso dal comunicare che l’intera imprese usa soltanto energie rinnovabili. L’Unione europea vuole eliminare qualsiasi margine di ambiguità.

La stretta sulla compensazione della CO2

Un capitolo molto delicato è quello dell’impatto sul clima. Ad oggi, infatti, si può dichiarare che un prodotto è a “emissioni zero” o “carbon neutral” se l’azienda ha intrapreso un percorso di misurazione, riduzione e compensazione delle sue emissioni di CO2, fino ad arrivare al saldo zero. Si parla di compensazione quando si finanzia un progetto che rimuove un’analoga quantità di CO2 dall’atmosfera, tipicamente l’installazione di impianti fotovoltaici o eolici, la piantumazione di alberi o la tutela di foreste.

L’Unione europea interviene proprio su quest’ultimo aspetto: d’ora in poi, non basterà più la compensazione per poter vantare di aver ridotto a zero le emissioni, ma bisognerà considerare l’impatto effettivo dell’intero ciclo di vita del prodotto in questione.

L’iter della direttiva europea

La direttiva Green claims, che va a rafforzare e integrare le precedenti direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE, è stata proposta dalla Commissione europea nel mese di maggio del 2023. Dopodiché, è andata incontro a tutti i successivi passaggi previsti dall’iter legislativo europeo, fino alla definitiva approvazione dell’Eurocamera, arrivata mercoledì 17 gennaio con una larghissima maggioranza: 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni. A questo punto, mancano soltanto l’ultimo via libera del Consiglio e la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione. A differenza del regolamento, che si applica direttamente negli Stati membri, la direttiva dev’essere recepita attraverso apposite misure nazionali: i Paesi dell’Unione (Italia compresa) avranno quindi 24 mesi di tempo per renderla pienamente operativa.

Valentina Neri

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