Uno studio del Censis, condotto all’interno del programma Cities Changing Diabetes, ha analizzato alcuni aspetti culturali e sociali per studiare la diversa vulnerabilità alla malattia dei cittadini romani
Città e diabete. Un binomio a doppia valenza. Vivere in città influisce infatti sia sulla diffusione del diabete sia sulla prevenzione, sul benessere e sul controllo della malattia. È questo il quadro principale che emerge da uno studio del Censis, condotto all’interno del programma internazionale Cities Changing Diabetes, che ha analizzato gli aspetti culturali e sociali, come livello di istruzione, reddito, luogo di residenza, cultura del cibo, mezzi utilizzati per gli spostamenti abituali, per studiare la diversa vulnerabilità al diabete dei cittadini romani.
Presentata in occasione della terza edizione del Forum Sustainable cities promoting urban health (il Forum italo-danese, organizzato dall’Ambasciata di Danimarca con il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”, ANCI-Associazione nazionale comuni italiani e Health City Institute), l’analisi è stata realizzata in collaborazione con la Società Italiana di Diabetologia e l’Associazione Medici Diabetologi e ha messo a confronto quattro tipologie di persone con diabete tipo 2, che percepiscono e vivono la malattia in maniera diversa nell’area metropolitana di Roma: “salutisti da contesto”, “anziani medicalizzati”, “cittadini fatalisti”, “giovani preoccupati ma indisciplinati”.
«Le caratteristiche dei quatto gruppi emerse dallo studio – afferma Ketty Vaccaro, responsabile Area Salute e welfare Fondazione Censis e coordinatore di Roma Cities Changing Diabetes – mettono in luce la rilevanza delle dimensioni sociali e culturali e il modo in cui esse influenzano il vissuto di malattia e l’esperienza del diabete dei pazienti che vivono nei vari territori dell’area metropolitana di Roma. Uno dei risultati più importanti attiene al peso del luogo di vita rispetto alle possibilità di gestione della malattia: insieme ai fattori sociali e psicologici, sono emersi ostacoli alla prevenzione, al benessere e al controllo della malattia legati alla dimensione urbana e al contesto di vita, che hanno bisogno di essere necessariamente affrontati con politiche multidimensionali e non solo sanitarie».
Il progetto Cities Changing Diabetes, nato quattro anni, ha coinvolto importanti metropoli mondiali e la prima città italiana ad aver aderito è Roma, la metropoli con il maggior numero assoluto di persone con diabete nel Paese (ben 286.500 persone). I risultati ottenuti finora hanno spinto anche Milano a candidarsi City Changing Diabetes 2019 per rafforzare il suo impegno nell’Urban Health, iniziato con EXPO 2015 e con importanti iniziative istituzionali.
«Nelle città aderenti al programma – spiega Andrea Lenzi, Presidente del Comitato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente dell’Health City Institute – i ricercatori si impegnano a individuare le aree di vulnerabilità, i bisogni insoddisfatti delle persone con diabete e identificare le politiche di prevenzione più adatte. L’obiettivo del programma è quello di creare un movimento unitario in grado di stimolare i decisori politici a considerare prioritario l’urban diabetes, il fenomeno che vede le città protagoniste e in parte responsabili del crescente aumento del numero di persone con diabete e di conseguenza in prima linea nella lotta alla malattia».
«Per combattere il diabete – dice Erik Vilstrup Lorenzen, Ambasciatore di Danimarca – è necessario aumentare l’attenzione sulla salute e sullo sviluppo urbano in modo da creare ‘città vivibili’. In breve, dobbiamo creare un ambiente urbano che promuova la salute come una parte fondamentale dell’infrastruttura e delle funzioni delle città. In Danimarca abbiamo una grande esperienza nel rendere le città più vivibili, grazie a un approccio multidisciplinare che coinvolge molti stakeholder: la società civile, l’ente di edilizia residenziale pubblica, la scuola, le associazioni di pazienti e tanti altri».