L’Accordo di Parigi del 2015 ha richiesto un impegno globale per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C. Cosa si è fatto in questi anni e quali effetti si avrebbero se si superasse questo limite? Ecco qualche risposta
Cosa comporta l’aumento delle temperature? I record registrati negli ultimi anni “stanno cambiando i modelli meteorologici e sconvolgendo gli equilibri naturali, il che comporta molti rischi per gli esseri umani e per tutte le altre forme di vita sulla Terra”, riporta il Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite (UNRIC).
Da tempo stiamo sperimentando gli effetti della crisi climatica. Le stesse Nazioni Unite rilevano che nel mondo si stiano perdendo specie viventi “a un ritmo mille volte superiore di qualsiasi altro momento registrato nel corso della storia dell’uomo”. Inoltre, un milione di specie è a rischio di estinzione nei prossimi decenni. Nel 2015 ben 195 Paesi del mondo hanno firmato l’Accordo di Parigi, un trattato internazionale che li impegna a mantenere la temperatura della Terra “ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali”, cercando di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C sempre rispetto a quei livelli.
Aumento delle temperature: a che punto siamo oggi?
Lo scorso febbraio è stato confermato che, per la prima volta, la soglia è stata superata per 12 mesi interi, secondo il servizio sui cambiamenti climatici Copernicus dell’UE. La temperatura media globale da marzo 2023 a febbraio 2024 è la più alta mai registrata, pari a 1,56 °C sopra la media preindustriale del periodo 1850-1900. Che succede ora? Prima di capire quali conseguenze ha l’aumento delle temperature oltre l’1,5° centigradi, facciamo un passo indietro per capire perché è stata fissata proprio questa soglia.
Perché è stata fissata la temperatura limite a 1,5 °C
Prima di rispondere alla domanda, è bene chiedersi perché sia stato preso come riferimento il valore di 1,5 gradi Celsius. Il trattato alla base dell’Accordo di Parigi non definisce un particolare periodo preindustriale, sebbene gli scienziati generalmente considerino gli anni dal 1850 al 1900 un riferimento temporaneo affidabile. Tale periodo è antecedente all’uso dei combustibili fossili ed è anche il primo periodo in cui sono disponibili osservazioni globali delle temperature terrestri e marine. Durante questo periodo, la temperatura media globale, pur oscillando per alcuni anni, si aggirava mediamente intorno ai 13,5 °C, riporta il Massachusetts Institute of Technology.
Il primo documento della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) a menzionare un limite al riscaldamento globale di 1,5 °C è stato l’Accordo di Cancun, adottato alla COP16, nel 2010. Esso ha stabilito un processo per rivedere periodicamente l’adeguatezza dell’obiettivo globale a lungo termine (LTGG), la cui definizione espressa nell’accordo era «mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali».
A ricordarlo è l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organismo delle Nazioni Unite preposto alla valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici.
Il primo periodo di revisione dell’obiettivo globale a lungo termine, iniziato nel 2013 e terminato alla COP21 di Parigi nel 2015, è consistito in gran parte nel Dialogo strutturato tra esperti (Structured Expert Dialogue – SED). Si è trattato di uno scambio di opinioni tra gli esperti invitati e i delegati dell’UNFCCC. Il rapporto finale del SED conclude che «in alcune regioni e in alcuni ecosistemi vulnerabili si prevedono rischi elevati anche per un riscaldamento superiore a 1,5°C».
La rilevanza di questa soglia di temperatura è stata esplorata ancora di più nel Rapporto speciale dell’IPCC del 2018 sul riscaldamento globale di 1,5°C. In quel report e in successivi altri si è scoperto che limitare il riscaldamento globale alla soglia indicata ridurrà gli impatti sui sistemi umani e sugli ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e costieri. Ha chiarito che ogni incremento del riscaldamento globale superiore a 1,5°C è importante per la portata e l’entità di questi impatti.
Lo stesso IPCC ha stabilito che per cercare di raggiungere l’obiettivo, le emissioni globali di carbonio dovrebbero raggiungere intorno al 2050 quello che gli esperti definiscono con l’espressione “net zero”.
Gli effetti attuali dell’aumento delle temperature
Milioni di persone in tutto il mondo stanno già sperimentando gli impatti dei cambiamenti climatici sotto forma di temperature estreme, forti piogge, inondazioni e altro ancora. Per ogni piccolo aumento di riscaldamento, il rischio di impatti negativi aumenta, sottolinea l’agenzia governativa statunitense NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) che fa capire bene, con una similitudine, come dobbiamo intendere il limite di 1,5°C: come una sorta di limite di velocità in autostrada.
«Supportati da numerose conoscenze scientifiche sui pericoli dell’eccesso di velocità, sappiamo che ogni piccola velocità in più aumenta il pericolo di un incidente. Non esiste una velocità al di sotto della quale i rischi sono pari a zero e al di sopra della quale, entro limiti ragionevoli, è garantito che si verifichi o sia mortale un incidente».
Detto questo, occorre preoccuparsi innanzitutto a non superare questo limite. L’IPCC ricorda che i modelli climatici proiettano consistenti differenze nel clima regionale tra il riscaldamento attuale e quello globale fino a 1,5°C e tra 1,5°C e 2°C, a seconda della variabile e della regione in questione. Si prevedono differenze “ampie, robuste e diffuse” per le temperature estreme. Ma, intanto, sottolinea quali benefici si potrebbero ottenere limitando il riscaldamento globale a 1,5°C anziché a 2°C: ciò potrebbe comportare che circa 420 milioni di persone in meno siano esposte frequentemente a ondate di caldo estreme e circa 65 milioni di persone in meno siano esposte a ondate di caldo eccezionali, assumendo una vulnerabilità costante.
Cosa succede se si supera la soglia di 1,5 °C?
Secondo uno studio pubblicato su Nature, il superamento della soglia di 1,5 °C potrebbe innescare una serie di punti critici, che altererebbero irreversibilmente il sistema climatico globale e aggraverebbero ulteriormente il riscaldamento.
Un esempio: il collasso della calotta glaciale della Groenlandia altererebbe le correnti oceaniche, spostando la distribuzione del calore attorno al pianeta, il che potrebbe portare a morie di massa in Amazzonia. Se il riscaldamento raggiungesse i 2 °C, anche temporaneamente, gli scienziati calcolano che ci sia circa un terzo di possibilità di innescare uno o più punti critici.
Un altro studio, condotto da un team di scienziati della University of California Irvine ha ipotizzato che uno spostamento delle correnti atlantiche, che attirano acque ricche di nutrienti dalle profondità, avrebbe un impatto sul plancton vicino alla superficie, inibendo la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica. Nell’Artico, incendi sempre più violenti stanno liberando il carbonio immagazzinato nelle torbiere e, con l’aumento delle temperature, il problema potrebbe peggiorare.
L’aumento delle temperature e il superamento del limite di 1,5 °C avrebbero pesanti conseguenze anche sugli ecosistemi del bacino Mediterraneo, secondo uno scenario prefigurato e presentato in un articolo pubblicato su Science. «Un riscaldamento di 2°C, tuttavia, è probabile che nel prossimo secolo creerà ecosistemi nel bacino del Mediterraneo che non hanno eguali negli ultimi 10mila anni», scrivono gli scienziati.
Andrea Ballocchi