Secondo l'Ispra in Italia 35 ettari al giorno di suolo vengono sacrificati per far posto al cemento. Lombardia, Veneto e Campania in testa alla classifica
Sfiora il miliardo di euro (oltre 800 milioni) il prezzo massimo annuale che gli italiani potrebbero pagare da quest’anno in avanti per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo rilevato negli ultimi tre anni. Un consumo che, sebbene viaggi oggi alla velocità più ridotta di quattro metri quadrati al secondo, continua ad avanzare ricoprendo in soli due anni altri 250 chilometri quadrati di territorio: ovvero circa trentacinque ettari al giorno. I costi occulti, quelli cioè non sempre immediatamente percepiti, prevedono una spesa media che può arrivare anche a cinquantacinquemila euro l’anno per ogni ettaro di terreno consumato. È questa l’istantanea che emerge dal rapporto «Numeri e costi del consumo di suolo in Italia», redatto e presentato dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
Bonifiche e riconversioni per combattere cementificazione e consumo di suolo
Il suolo nazionale cementificato, cioè sigillato in permanenza da edifici o infrastrutture di trasporto o industriali, ammonta a circa il sette per cento. Sembra una frazione piccola, ma corrisponde a un’area grande poco meno dell’Emilia Romagna. È come se ognuno dei sessantuno milioni di italiani disponga di circa cinquemila metri quadrati di suolo. Chi lavora nel settore edilizio continua a piangere miseria, sostenendo che la crisi ha fatto crollare gli introiti. Ma in realtà da questo dossier s’evince che se la ripresa economica coincidesse con l’ulteriore consumo di suolo, il conto che la natura dovrebbe pagare sarebbe pressoché incompatibile col proseguimento dell’esistenza.
Altra storia sono le ristrutturazioni e le bonifiche di aree dismesse, che andrebbero invece incentivate, come da tempo propone Renzo Piano, riguardo soprattutto ad alcune aree periferiche delle grandi città. Piuttosto grave è che finora l’Italia non si sia mai dotata di una legislazione per difendere il capitale del suolo, opera a cui si dedicano soltanto associazioni di cittadini e singoli amministratori locali.
I costi nascosti nel consumo di suolo
Ci sono una serie di aspetti «nascosti» legati al consumo di suolo. Più questo si riduce, infatti, minore è la produzione agricola, calata per un valore pari a quattrocento milioni di euro. Il rapporto – la novità di quest’anno è proprio la quantificazione economica delle perdite – svela come questo aspetto si ripercuota anche sullo stoccaggio del carbonio, sulla protezione dell’ erosione e generi danni dovuti alla mancata infiltrazione dell’acqua e all’assenza di impollinatori. Solo per la regolazione del microclima urbano – a un aumento di venti ettari per chilometro quadrato di suolo consumato corrisponde un aumento di 0.6 gradi centrigradi della temperatura superficiale – è stato stimato un costo che si aggira intorno ai dieci milioni all’anno. Sono queste le stime preliminari dei costi nazionali provocati dalla trasformazione forzata del territorio avvenuta tra il 2012 e il 2015. Milano (45 milioni), Roma (39 milioni di euro), e Venezia (27 milioni) sono le città metropolitane con i costi annuali più alti.
La maggior parte del suolo consumato è di buona qualità: lo studio condotto in Abruzzo e in Veneto ha dimostrato che i suoli modificati sono quelli con maggiore potenzialità produttiva. Inoltre la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto, ma produce impatti notevoli anche su quello circostante. Gli effetti si ripercuotono così sul suolo fino a cento metri di distanza. In altri termini, oltre la metà del territorio nazionale (cinquantasei per cento) risulta compromesso. Nell’anno appena trascorso, le regioni che hanno fatto registrare il maggior consumo di suolo sono state la Lombardia, il Veneto e la Campania. I piccoli Comuni (con meno di cinquemila abitanti) sono risultati i più inefficienti, avendo i valori più alti di consumo marginale di suolo.
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