Secondo un pool di esperti, il ruolo dei cittadini sarà cruciale per raggiungere gli obbiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu dei prossimi dieci anni: dalla riduzione della fame, della povertà e delle disuguaglianze al contrasto al cambiamento climatico
Nel mondo, secondo l’ultimo «World Science Report» redatto dall’Unesco, ci sono poco più di sette milioni di scienziati. Meno di un millesimo (7.5 miliardi) della popolazione mondiale. Il divario aiuta a capire perché, considerando la gravosità delle sfide che attendono il Pianeta nei prossimi decenni, la comunità scientifica da sola potrebbe non essere in grado di affrontarle. Un aiuto, in questo senso, potrebbe venire dai cittadini. È a loro che oggi gli scienziati si rivolgono, ritenendoli potenziali coprotagonisti lungo l’infinito percorso della conoscenza.
L’AVVENTO DELLA «CITIZEN SCIENCE» – La possibilità di affrontare le nuove sfide passa anche dalla «citizen science». Come tale, si definisce «la raccolta e l’analisi di dati relativi al mondo naturale da parte di un pubblico, che prende parte a un progetto di collaborazione con scienziati professionisti», secondo la definizione data dal dizionario Oxford English. Sempre più spesso, ognuno di noi ha l’opportunità di diventare la prima «fonte» di dati per la comunità scientifica. Un apporto di questo tipo è già consuetudine in diversi ambiti: dal controllo della biodiversità al monitoraggio dell’inquinamento, dalla registrazione di alcuni indicatori di salute allo studio delle galassie. Ma si può fare ancora di più, soprattutto in Italia. Secondo un pool di esperti, che hanno pubblicato le loro considerazioni in un documento apparso sulla rivista «Nature Sustainability», il ruolo dei cittadini sarà cruciale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu dei prossimi dieci anni: dalla riduzione della fame, della povertà e delle disuguaglianze al contrasto al cambiamento climatico. «Abbiamo bisogno di una grande mole di dati e ogni persona può aiutarci a raccoglierli in un tempo molto più breve – afferma la fisica Rosy Mondardini, direttore del citizen science center costituito dalla scuola politecnica federale e dall’Università di Zurigo -. Il controllo sulla loro qualità avviene in due fasi, a monte e a valle: è dunque minimo il rischio di prendere in esame informazioni mendaci o raccolte in maniera non appropriata».
CONVIVENZA TRA CITTADINI E SCIENZIATI – Il contributo dei singoli può segnare una svolta soprattutto in quegli ambiti per i quali non vi è una fonte di dati considerata lo standard a livello internazionale. «Una raccolta di informazioni così capillare ci permetterebbe di accorciare i tempi e soprattutto di accedere a dati che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, non vengono nemmeno raccolti – prosegue l’esperta, romagnola d’origine ma da oltre vent’anni trapiantata oltre le Alpi -. Molti colleghi sono ancora scettici, temono che in questo modo possa vanificarsi il grande sforzo compiuto in una formazione che, di fatto, è senza sosta. Ma il fronte dei renitenti si sta via via riducendo: i colleghi più giovani sono quasi sempre aperti a questo tipo di collaborazioni». E poi «un punto di vista differente può allargare gli orizzonti della scienza, facendoci un problema o un’opportunità in più. C’è chi partecipa a questi progetti perché desidera entrare in contatto con uno scienziato. Ma nella maggior parte dei casi prevale la volontà di lasciare il segno su qualcosa di importante. Il coinvolgimento dei cittadini in queste ricerche è un’opportunità per educare i più giovani e modificare qualche comportamento scorretto negli adulti».
UN’ARMA PER DIFENDERE L’AMBIENTE – Sono diverse le esperienze significative di «citizen science» in giro per il mondo. Una delle prime è stata «Tangaroa Blue», il database che punta a ridurre l’impatto dei rifiuti sulle coste e nelle acque che bagnano l’Australia. Una volta raccolte, le informazioni vengono catalogate attraverso il sito o la app del programma condiviso. In questo modo, è possibile identificare le principali voci di rifiuti e utilizzare le informazioni per ridurne il carico all’origine. Dal 2004 a oggi, oltre 11 milioni di dati sono stati inseriti nel registro australiano dei detriti marini, creando una panoramica completa dei diversi rifiuti che minacciano le coste del Paese. Al momento, la rete comprende oltre 145mila volontari, che si sono resi protagonisti dello smaltimento di 14 milioni di articoli: per un totale di 1.200 tonnellate di rifiuti catturati dall’oceano o a un passo dal finire nelle sue acque. «Christmas Bird Count» è invece il più longevo progetto di raccolta di dati scientifici basato sulla «citizen science». Ogni anno a partire dal 1900, in un giorno compreso tra il 14 dicembre e il 5 gennaio, i cittadini possono diventare delle «sentinelle» dello stato di salute degli uccelli. Vengono creati dei gruppi con osservatori più e meno esperti e, a ognuno di loro, è assegnata un’area limitata. All’interno di questa, per venti giorni, i «birdwatcher» devono contare ogni volatile che vedono o sentono passare sulla propria testa. Il progetto, gratuito, permette di raccogliere una mole di dati che, passati poi al setaccio da biologi e ornitologi, servono a scattare una fotografia delle condizioni degli uccelli nel mondo. «Christmas Bird Count» è attivo in tutti i Paesi del continente americano, ma il coinvolgimento maggiore si registra negli Stati Uniti e in Canada.
Twitter @fabioditodaro